Martedì 27 aprile alle 12 e 18 minuti mi sono vaccinato contro il Covid-19 al drive through di Trenno, in via Novara, a sud di Milano. Il centro vaccinale, collocato a poche centinaia di metri dall’uscita tre della tangenziale ovest di Milano (quella che dai valichi svizzeri e dai laghi Maggiore e di Como porta agli svincoli per Genova o Bologna) è gestito dall’esercito italiano con spartana efficienza.

Quando sono arrivato all’ingresso del centro una soldatessa in tono gentile ma fermo mi ha chiesto con voce stentorea: «Prima vaccinazione o richiamo?». «Prima vaccinazione», ho dichiarato come rispondendo a un comando mentre mi tornavano alla mente vaghi ricordi di quando arrivai, molti anni or sono, giovane artigliere di leva al Car di Bracciano alle porte di Roma. A quel punto la soldatessa mi ha indicato la direzione da seguire in un percorso obbligato dove un seconda persona, una assistente civile, mi ha consegnato un foglio di anamnesi dove segnalare per iscritto eventuali malattie cardiache o polmonari, asme o allergie in genere.

La vaccinazione

La compilazione in auto della scheda, composta da quattro punti preliminari e 13 di anamnesi non è stata agevole, perché non sapevo dove appoggiare il foglio e nessuno dei miei vicini osava scendere dall’automobile per evidenti motivi di sicurezza. Ho compilato in pochi minuti quanto richiesto ma non c’era urgenza perché tanto dovevo aspettare in coda che le tre auto che mi precedevano procedessero nelle operazioni di vaccinazione. Quando è stato il mio turno ho consegnato il foglio compilato, la tessera sanitaria e ho risposto a qualche domanda di rito postami da uno dei due militari in camice bianco che mi aspettavano sotto il tendone nel box numerato: «Ha la febbre, tosse o raffreddore?». «Soffre di qualche allergia particolare?». Intanto loro leggevamo la scheda in cerca di eventuali contraddizioni e scrivevano sul computer. Poi la dottoressa militare si è avvicina al finestrino di guida dove avevo abbassato il vetro e mi ha chiesto di rilassare il braccio sinistro dove in pochi secondi ha inoculato il vaccino. A quel punto mi ha dato un piccolo tampone con disinfettante da tenere sul punto della puntura per qualche minuto e un foglio con la prenotazione per il successivo richiamo. Poi mi hanno invitato a proseguire per pochi metri in un ampio parcheggio delimitato da strisce bianche per ogni posto auto dove attendere 15 minuti in attesa di eventuali reazioni allergiche. Non sono mai dovuto scendere dall’automobile.

Tutti i miei vicini di auto erano tranquilli e sembrava di essere finito in uno dei drive in del sud degli Stati Uniti degli anni 50 descritti dallo scrittore Joe Lansdale nel suo celeberrimo La sottile linea scura. Ero come in un viaggio nel tempo. Eppure ero a Trenno, sud di Milano, ma la situazione aveva qualcosa di straniante dal paesaggio della periferia di una metropoli del nord Italia. Saranno stati i mezzi articolati dell’esercito parcheggiati nel piazzale, i gruppi elettrogeni pronti all’uso d’emergenza, il reticolo di cavi elettrici che passavano da un box all’altro, il picchetto militare di vigilanza posto davanti alla tenda mimetica verso l’uscita.

Tutto sembrava farti entrare in una cittadella militare organizzata secondo i canoni degli accampamenti (castrum) dei legionari romani: due assi, il “cardo massimo” (cardo maximus) e il “decumano massimo” (decumanus maximus), linee rette, vie parallele, un reticolo dove trovare tutto a occhi chiusi in caso di emergenza. Sì, quello che ho percepito nel mio subconscio è che nel corso di una pandemia come quella del Covid-19 è l’organizzazione militare quella più idonea alla risposta. La centralizzazione del comando e delle responsabilità, non la sua delocalizzazione e declinazione territoriale. La logistica militare è la risposta più efficiente a un attacco al cuore della nostra vita sociale ed economica da parte di un nemico subdolo e mutante.

Per questa convinzione di fondo e gratitudine del servizio sociale al centro di Trenno, quando sono uscito ai due militari di guardia ho accennato quasi in automatico un goffo saluto militare. Come se la passata e lontana esperienza di militare di leva al servizio della res pubblica fosse tornata alla luce. E con una convinzione di fondo: ne usciremo solo se resteremo uniti.

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