«Secondo rilevazioni demoscopiche il lavoro non è fra le priorità dei giovani». «Il numero dei Neet è in continua crescita». Sono le parole del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara in un’intervista a Libero: per lui è tutta colpa della “cultura del ‘68”. Non solo numerose analisi si incaricano di smentirlo, ma è lo stesso mondo delle imprese a non pensarla così
La recente intervista del ministro Valditara a Libero ha avuto l'effetto di un colpo di scena, ma non nella maniera auspicata. Oltre a presentare dati che, come già dimostrato da numerose analisi, risultano palesemente errati, ciò che colpisce è la banalità disarmante dell'intero discorso. Siamo di fronte a un florilegio di luoghi comuni: i giovani accusati di non volere lavorare, di non sapere comportarsi e di non accettare alcuna autorità, e via dicendo. Tutto questo sarebbe, secondo Valditara, colpa del ‘68 (vera ossessione del ministro) e di una sinistra immaginaria che avrebbe infettato la cultura morale della nostra società. Un copione che potrebbe essere recitato solo nei talk show pomeridiani delle reti private che coltivano il consenso elettorale del segmento più retrivo della popolazione over 60.
Le parole e la realtà
Innanzitutto è fondamentale ricordare che il comportamento dei giovani nel mercato del lavoro non è determinato dalla loro indole, ma dalla struttura del tessuto produttivo della realtà in cui vivono. Prendendo in considerazione l'Italia, si evidenziano notevoli differenze regionali. La disoccupazione giovanile a livello nazionale si attesta intorno al 20%, ma in alcune regioni del sud può avvicinarsi al 30%, mentre in molte aree industriali del nord scende sotto il 3%. I giovani sono gli stessi, ma il mercato del lavoro varia significativamente da una regione all'altra. Lo stesso vale per i Neet, i giovani che non studiano né lavorano, la cui incidenza è più alta nelle zone caratterizzate da una maggiore economia sommersa (dunque molti di loro stanno probabilmente lavorando in nero).
C'è una scollatura evidente tra le parole del ministro e la realtà dei fatti. Non è necessario chiamare in causa gli avversari politici di Valditara — sinistra, sindacati e gran parte del corpo docente — per dimostrare la distanza tra la sua retorica e ciò che accade nel mondo reale. Basta prestare attenzione a ciò che il mondo imprenditoriale — nelle aree ad alta domanda di lavoro — sta dicendo da tempo. Scrivo da Bergamo, una provincia in cui il tasso di disoccupazione giovanile è sceso ai minimi storici, attestandosi all'1.7%. Le imprese si trovano ora a fronteggiare una drammatica crisi di carenza di manodopera giovanile.
«Sono loro a selezionare noi, non più il contrario» ripetono i datori di lavoro, descrivendo la nuova generazione di lavoratori. Di fronte a questa realtà, le associazioni imprenditoriali si stanno attivando per capire meglio la cultura dei giovani, creando osservatori sulla generazione Z e avviando iniziative pubbliche per coinvolgerli. E le imprese più lungimiranti stanno rivedendo di conseguenza le loro politiche, attualmente inefficaci, di gestione delle risorse umane.
Un orizzonte di senso
Il ministro afferma che, secondo alcune rilevazioni demoscopiche, il lavoro non figura tra le priorità dei giovani, attribuendo questo fenomeno a un presunto lassismo e a un eccesso di benessere. Tuttavia, le ricerche condotte dal mondo delle imprese nelle aree industriali disegnano uno scenario diverso: per le nuove generazioni, la conciliazione tra vita privata e lavoro è un aspetto cruciale. I giovani non sono più disposti a sacrifici totali e, pertanto, le imprese che desiderano trattenerli devono adeguarsi, offrendo condizioni economiche e di flessibilità oraria in linea con le loro aspettative.
Da tutte le indagini sul tema emerge chiaramente che le richieste delle giovani generazioni in materia di lavoro si concentrano su tre aspetti fondamentali: orari ridotti, salari più alti e un orizzonte di senso — tanto nel lavoro quanto al di fuori di esso — che non si limiti al mero profitto. Queste esigenze, lungi dall'essere capricci, rappresentano una risposta consapevole e necessaria a un contesto economico e sociale in continua evoluzione.
Ossessione ideologica
Di tutti i ministri che si sono susseguiti negli ultimi vent'anni, Valditara si distingue per l’eccesso di rancore ideologico. Persino la tanto criticata Gelmini, pur con le sue contraddizioni, si è dimostrata più ragionevole. Valditara, invece, sembra prigioniero di un discorso ossessivo e rancoroso, sempre ancorato al ‘68, un'epoca che lui continua a rievocare come un fantasma da esorcizzare.
Nell'intervista, sostiene addirittura che la sinistra abbia forgiato una società troppo socialista, e quindi protettiva e lassista nei confronti dei giovani. È difficile non sorridere di fronte a tale affermazione, considerando che storicamente tutti gli stati socialisti hanno mostrato un’inflessibilità opposta nei confronti dei giovani.
Le parole del ministro, intrise di una retorica tanto ideologica quanto improbabile, finiranno per alienare non solo il mondo sindacale, ma anche quello delle imprese che sta cercando di adattarsi alle esigenze dei giovani lavoratori. In questo contesto, anche un laburista marxista come me è costretto a riconoscere che, quando si parla di giovani e lavoro, persino le posizioni dei datori di lavoro — che con la forza lavoro giovanile hanno un rapporto reale e non immaginario — si rivelano più lungimiranti.
© Riproduzione riservata