Il 17 aprile è la domenica di Pasqua per i cattolici, mentre per gli ortodossi cadrà il 24 aprile. Per il momento, la richiesta del papa di una tregua è caduta nel vuoto. Intanto, se all’ombra del Colosseo torna in mondovisione la via Crucis con la guerra infinita di Putin da sfondo, all’ombra del Cupolone è in corso un’altra guerra di logoramento.

A Palazzo Pio, sede del dicastero della Comunicazione riformato da papa Francesco con un motu proprio nel 2015, da giorni circola una lettera anonima indirizzata ai giornalisti, che denuncia il malessere ormai cronico dei professionisti della comunicazione: «Due persone che hanno raccolto firme su un documento per fare arrivare in alto le questioni dei continui sprechi economici e le voci del disagio di tanti lavoratori sono state pesantemente punite e messe a tacere» si rivela.

Dal 2017, quando gli allora direttore e vice direttrice della Sala stampa vaticana, Greg Burke e Paloma García Ovejero, rassegnarono le loro dimissioni con un rumoroso silenzio, fonti vaticane confermano presunte dimissioni e prepensionamenti dei dipendenti, come si riporta: «Giorno dopo giorno è cresciuta la delusione tra il personale dipendente, e sembra che tutti stiano aspettando la pensione anticipata per andare via con amarezza e disincanto».

Baciati dal sole argentino

(Stefano Spaziani/picture-alliance/dpa/AP Images)

Non ci sono posizioni ufficiali, ma sarebbe il primo atto d’accusa alle figure del primo dicastero nato per volontà di papa Francesco per accorpare tutti i media. In visita a Radio Vaticana per la prima volta dalla sua elezione un anno fa, il pontefice nelle vesti di editore non parve mostrare quella tenerezza che lo contraddistingue come pastore: «C’è il pericolo di una bella organizzazione, un bel lavoro, ma che non arrivi dove deve arrivare. Un po’ come il racconto del parto del topo: la montagna che partorisce il topolino» disse ai microfoni.

Se l’audience diventa, così, un assillo, non stupiscono le papali «fughe mediatiche» fuori dalle mura, nei salotti pop di Mediaset e Rai. Azioni che s’intensificano con le ricorrenze religiose, rese possibili da una macchina mediatica parallela e lontana da Palazzo Pio. Tra i volti vicini al papa c’è quello di don Marco Pozza, il prete passato dal carcere padovano di Due Palazzi al cortile di casa Santa Marta, dove realizza interviste.

L’ultima da lui coordinata è andata in onda nel venerdì santo nella puntata di A sua immagine, il format targato Rai condotto da Lorena Bianchetti: un pungolo in una programmazione Rai dove era già stato calendarizzato un pastiche d’interviste realizzato dal dicastero per la Comunicazione con Rai Cultura, in collaborazione con la Biblioteca apostolica e i Musei vaticani, realizzato da Andrea Tornielli e Lucio Brunelli, figure apicali di Palazzo Pio.

Ma anche una sovrapposizione per taluni inappropriata, che avviene in una tv di stato dove la figura di un leader cattolico come il papa guadagna sempre più presenze televisive a dispetto del pluralismo delle confessioni religiose necessario in un paese laico, come già rilevava su Domani Enzo Marzo. Domani, lunedì di Pasquetta, andrà in onda un’altra puntata speciale di A sua immagine in diretta da piazza San Pietro per l'incontro di papa Francesco con gli adolescenti.

Un papa due comunicazioni

La persistenza di due apparati paralleli di comunicazione si ripercuote, così, sui dipendenti vaticani, stremati da una concorrenza che si tradurrebbe in assunzioni e demansionamenti: «Si può immaginare e giustificare l'amarezza e lo sconforto dei lavoratori dipendenti al fatto che in una economia ristretta si chiede di ridurre al minimo o di azzerare le spese straordinarie, mentre altri dicasteri e segreterie moltiplicano i subappalti per i servizi di comunicazione, ovviamente pagati, e ignorando le risorse umane, professionali e tecniche già disponibili internamente, non prendendole in considerazione neanche a livello consultivo» riporta la lettera.

Se è vero che, almeno formalmente, le assunzioni alla Santa sede sono state bloccate, nei media la lettera denuncia presunte assunzioni esterne alle formali procedure di recruiting: «Non corrisponde al vero che le assunzioni in Vaticano sono state bloccate, nel mega dicastero per la Comunicazione si è continuato ad assumere a livelli alti delle tabelle organiche, spesso in nome del fittizio “turnover” per pensionamento. Il problema è che le risorse interne già qualificate e specializzate si vedono scavalcare ingiustamente da parvenus dell'ultimo momento, spesso amici degli amici». Al momento, però, non ci sono conferme ufficiali.

Il brand Francesco

È noto che papa Francesco sia visto come un re Mida, e che si prediligerebbe una logica commerciale piuttosto che editoriale, economica più che di servizio. La guerra in Ucraina, per esempio, diventa l’occasione per rinfrescare interviste vecchie con prefazioni nuove, come quelle contenute nelle decine di libri targati dal brand papa Francesco.

Il fenomeno mediatico del pontefice offusca persino le critiche, come la scelta di affiancare una donna ucraina e una russa nella via Crucis di venerdì sera. Critiche dannose secondo Bergoglio stesso, che in una lettera al conduttore argentino Gustavo Sylvestre ha bollato come «calunnie, diffamazione, coprofilia». Tutto questo mentre i media nostrani si preoccupano di diffondere un’immagine positiva e coerente di un papa sempre più influencer. Lo preconizzava poco tempo fa Jason Horowitz del New York Times: «I grandi media italiani rimangono un safe space per il Vaticano».

© Riproduzione riservata