La presentazione delle liste del Pd ha aperto uno scontro all’interno del partito, un tutti contro tutti che il segretario Enrico Letta ha stoppato chiarendo che la riduzione dei parlamentari (votata dallo stesso Pd quando lui non era ancora segretario) ha imposto tagli draconiani. «Impossibile ricandidare tutti, ho dovuto scegliere e chiesto dei sacrifici», ha spiegato l’ex primo ministro che ha comunque usato il bilancino per accontentare i big e (quasi) tutte le correnti.

Non solo: Letta nella spartizione dei seggi ha pure soddisfatto anche i ras e i cacicchi dei territori. Che soprattutto nella Puglia del governatore Michele Emiliano e nella Campania di Vincenzo De Luca la fanno – dentro e fuori il Pd – ancora da padrona. Le conseguenze non sono indolori: a Napoli è addirittura in bilico uno come Vincenzo Amendola, ministro uscente e protagonista assoluto in Europa della trattativa, durante il governo Conte II, per ottenere i fondi del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Al contrario, nella parte alta delle liste, quella blindata, c’è chi ha già la conferma in parlamento assicurata. Si tratta di Piero De Luca, vice-capogruppo uscente dei democratici alla Camera dei deputati. Il padre ça va sans dire è il presidente della regione, e plenipotenziario del partito in Campania: oltre al figlio, nelle liste ci saranno altri suoi fedelissimi.

Letta da Roma è riuscito a imporgli solo la candidatura di un capocorrente di peso come Dario Franceschini.

Chi all’interno del Pd sperava che – dopo il terremoto giudiziario che ha travolto il sistema Salerno e coinvolto lo stesso governatore – i vertici del partito avrebbero provato a limitare lo strapotere del governatore si è dovuto dunque ricredere.

Il silenzio democratico

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Da quando il presidente della regione è indagato per corruzione, da quando la procura di Salerno ha colpito il sistema di voti, posti di lavoro e cooperative che giravano attorno all’imprenditore Fiorenzo Zoccola, da decenni in buoni rapporti con De Luca, dal Partito democratico nazionale non è infatti arrivata neanche una parola di protesta. Un silenzio necessario a mantenere buoni rapporti con chi controlla il consenso in regione.

Eppure, l’inchiesta mira al cuore del sistema Salerno. Nell’ottobre 2021 finiscono ai domiciliari un fedelissimo del governatore, il consigliere regionale Nino Savastano, e il ras delle coop, Fiorenzo Zoccola, per gli amici “Libero”. Oggi sono entrambi a processo con giudizio immediato.

Un mese dopo arriva la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati proprio di De Luca, coinvolto per corruzione nell’inchiesta, ma nessuno all’interno del partito osa muovere appunti o porre la questione. Nelle carte spunta, seppur sia del tutto estraneo all’indagine, il nome del figlio Piero.

Zoccola, intercettato, parla male dell’onorevole rampollo, lo indica a capo di un cerchio magico, quello messo in piedi da Vincenzo che diventa, per la prima volta, sindaco di Salerno nel 1993. De Luca junior è l’erede di quel sistema di potere e di relazioni costruito dal padre, e i democratici da anni accettano l’amaro calice: nella città dalla quale Enrico Berlinguer lanciò la questione morale il potere si eredita ancora per ius sanguinis.

Il processo di Piero

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Grazie al cognome e alle sue capacità Piero di strada ne ha fatta tanta. Ma non senza inciampi. Di mestiere fa l’avvocato, e anche nella sua attività forense affronta una sfida titanica. Dal 2017, ormai da 5 anni, è infatti a processo per concorso in bancarotta fraudolenta per il fallimento dell’Ifil, una società di consulenza protagonista di alcuni lavori in città.

De Luca è sicuro di dimostrare la sua estraneità alle accuse e si professa innocente. I pubblici ministeri gli contestano spese, che non sarebbero attinenti con le attività della società, per il pagamento di viaggi in Lussemburgo, dove l’onorevole democratico, in passato, lavorava da avvocato esperto di diritto comunitario.

Il giovane De Luca è da pochi mesi anche professore universitario. La scorsa estate è diventato professore associato all’università di Cassino partecipando al concorso indetto dall’ateneo. Nessun rivale: al bando ha partecipato solo lui. Come mai? La spiegazione è presto arrivata: si trattava di un normale concorso che, per prassi, viene aperto unicamente al ricercatore interessato all’interno di un piano di passaggio dalla ricerca alla cattedra.

Ma la politica resta il suo pallino. I rapporti territoriali sono eccezionali: per lanciare la sua ricandidatura 600 persone hanno firmato un appello ai vertici del Pd, dove si spiegava come l’avvocato diventato professore fosse per loro un uomo indispensabile nelle istituzioni.

Gli altri fedelissimi

Marco Cantile

Vincenzo De Luca però non si è fermato a valorizzare la carriera del figlio. Ma a questo giro nelle liste è riuscito a piazzare anche altri fedelissimi. A partire da Luca Cascone, consigliere regionale campano, che sarà candidato nel collegio uninominale della zona cilentana, in provincia di Salerno. Un altro uomo di fiducia del presidente è Fulvio Bonavitacola: il suo numero due in regione sarà candidato all’uninominale a Salerno. Poi De Luca dovrebbe piazzare anche due sindaci a lui vicini. Le liste non sono state ancora depositate, e potrebbero esserci variazioni causate da alcune rinunce.

Lo scorso marzo diversi intellettuali avevano scritto a Enrico Letta, segretario del Pd. «Sotto De Luca il partito è a pezzi, parvenze di segretari dirigono le segreterie locali, alle elezioni il simbolo non c’è, a Salerno è una segreteria personale di Piero De Luca», scrivevano.

Letta promette attenzione massima, ma la risposta vera arriva in queste ore. Il partito, in terra campana, resta «la segreteria di Piero De Luca» nel nome del padre. Nulla più.

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