Non si arresta il fenomeno delle zoomafie in Italia. Dal rapporto annuale stilato dalla Lav, Lega anti vivisezione, emergono dati significativi sulla diffusione dei crimini contro gli animali nel nostro paese. Pur essendo in flessione il totale dei reati è in forte crescita il numero delle persone indagate, una discrepanza che mostra in modo immediato l’aumento di crimini commessi da gruppi organizzati e dunque realizzati in concorso. E tra gli attori criminali attivi in questo ambito vi è anche la criminalità mafiosa. «Alle mafie questi reati piacciono molto - ha commentato alla presentazione del rapporto il presidente della Fondazione Antonino Caponnetto, Salvatore Calleri - perché guadagnano molto rischiando pochissimo».

I dati

I numeri diffusi dalla Lav, dunque, sembrano indicare un’attenzione criminale ancora alta per i crimini contro gli animali. Stando ai dati forniti dalle procure all’associazione, nel corso del 2024 si sono aperti in media 22 nuovi fascicoli al giorno per reati contro gli animali, con circa 14 persone indagate. Numeri che, rapportati alla popolazione, fanno emergere un quadro allarmante: 13,85 procedimenti e 8,36 indagati ogni 100.000 abitanti. Ma si tratta di numeri che raccontano solo in parte la reale portata del maltrattamento animale, spesso sommerso e poco denunciato. «Le varie indagini - spiega Ciro Troiano della Lav - hanno fatto emergere una realtà articolata. Parliamo di vere associazioni per delinquete che fanno uso di modalità operative particolarmente sofisticate e che sono diramate su tutto il territorio nazionale».

Ed infatti nessuna regione appare immune ai reati contro gli animali. A livello territoriale, la procura di Brescia si conferma la più attiva con 265 procedimenti e 219 indagati, complice l’altissima incidenza dei reati contro la fauna selvatica, che da soli rappresentano oltre il 50 per cento dei procedimenti locali. Seguono Catania (178 procedimenti), Bergamo (173), Trento (170), Roma (163) e Milano (155).

Per quanto riguarda la tipologia di crimini, il reato più contestato è quello di uccisione di animali, con 2.319 procedimenti (33,58 per cento del totale) e 558 indagati. Ma oltre l’83 per cento delle denunce riguarda soggetti ignoti. Segue il maltrattamento, al 33,41 per cento con 1.506 indagati, in aumento dell’11,13 per cento rispetto all’anno precedente. L’abbandono o la detenzione in condizioni incompatibili con la natura degli animali rappresenta il 16,65 per cento dei procedimenti (1.150 casi), con una crescita significativa degli indagati (+20,42 per cento).

L’allarme social

Oltre ai dati dal report emerge però anche un allarme importante: sul web, la violenza sugli animali è diventata spettacolo. Una deriva che trasforma il dolore in contenuto virale, alimentando un mercato oscuro fatto di visualizzazioni, scommesse e perversioni. Sempre più spesso, atti di maltrattamento vengono filmati e diffusi online per guadagnare visibilità o suscitare reazioni estreme. E la rete, in particolare i social, amplifica questa crudeltà, creando effetti emulativi e normalizzando l’orrore. «Sono spesso ragazzini a scambiarsi immagini più terribili - spiega Troiano - e questo incide sulla loro psicologia portando ad una assuefazione e normalizzazione di cose atroci».

I contenuti condivisi includono pratiche inimmaginabili: animali dati alle fiamme, lanciati da balconi, seviziati con ferocia gratuita. In altri casi si tratta di video costruiti per nicchie specifiche, come il crush fetish, in cui piccoli animali vengono schiacciati sotto i piedi, spesso di donne, per soddisfare fantasie sadiche. O ancora si organizzano combattimenti in diretta: vere e proprie arene digitali dove si scommette, si commenta, si gode della violenza.

Da Facebook a Telegram, tutti i social sono stati usati per coordinare corse clandestine di cavalli, traffici illegali, compravendita di cuccioli, promozione di attività vietate. Gruppi chiusi, protetti da pseudonimi e crittografie che rendono difficile l’intervento delle autorità. E nel 2019, la scoperta della chat “The Shoah Party”, un canale Telegram con centinaia di video di torture su animali con utenti da tutto il mondo, ha mostrato la portata transnazionale del fenomeno. Un mondo parallelo dove la brutalità è merce, scambio, linguaggio comune.

Le denunce sono rare, spesso ostacolate dal timore o dalla convinzione che “è solo internet”. Ma la violenza digitale ha conseguenze reali. E la sua viralità, invece di innescare indignazione, può anestetizzare l’empatia e alimentare un ciclo infinito di crudeltà.

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