In un rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha rivelato nuove prove di violazioni dei diritti umani, compresa la violenza sessuale, nei confronti di uomini, donne e bambini intercettati nel mar Mediterraneo e riportati nei centri di detenzione libici.

Le terribili conseguenze della cooperazione in corso tra l’Europa e la Libia in tema d’immigrazione e controllo delle frontiere sono documentate in un rapporto di 52 pagine intitolato «Nessuno verrà a cercarti: i ritorni forzati dal mare ai centri di detenzione della Libia».

La Libia non consente agli organismi internazionali di intervenire. Le maggiori restrizioni del 2021 sull’accesso di Unhcr, altre agenzie dell’Onu e organizzazioni umanitarie ai centri di detenzione hanno agevolato ulteriormente le violazioni e favorito l’impunità.

«Il Governo di unità nazionale costituito a marzo 2021, non ha intrapreso alcuna azione per affrontare le violazioni sistematiche nei confronti di rifugiati e migranti detenuti all’interno del paese»​, scrive Amnesty.

I luoghi informali di prigionia, originariamente sotto il controllo di varie milizie, sono stati riconosciuti e integrati nella struttura del dipartimento per la lotta all'immigrazione illegale del Ministero degli Interni.

Leggitimate dal governo

Il rapporto rivela inoltre che dalla fine del 2020 la Direzione per il contrasto all’immigrazione illegale (Dcim), un dipartimento del ministero dell’Interno della Libia, ha legittimato le violazioni dei diritti umani, integrando tra le strutture ufficiali due nuovi centri di detenzione dove negli anni scorsi le milizie avevano sottoposto a sparizione forzata centinaia di migranti e rifugiati.

Persone sopravvissute a uno di questi centri hanno denunciato che le guardie stupravano le donne e le obbligavano ad avere rapporti sessuali in cambio di cibo o della libertà.

I detenuti hanno raccontato ad Amnesty International le torture, le condizioni detentive inumane, le estorsioni e i lavori forzati cui erano sottoposti.

«I responsabili di queste violazioni dei diritti umani sono stati premiati attraverso promozioni e l’assegnazione di posizioni di potere. Questo significa una sola cosa: che rischiamo di vedere gli stessi orrori replicarsi ancora», ha detto Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

Durante alcuni tentativi di fuga dal centro gestito dalla Dcim di Abu Salim a Tripoli, guardie e uomini armati non identificati hanno ucciso almeno due persone e ferito molte altre sparando ai detenuti alla fine di febbraio 2021 e il 13 giugno dello stesso anno.

Tre testimoni della prima sparatoria hanno riferito la presenza di miliziani collegati ad Abdel Ghani al-Kikli, comandante delle milizie che controllano la zona di Abu Salim, nominato a gennaio 2021 dall’ex Consiglio di presidenza del Governo di accordo nazionale (GNA) come capo dell’Autorità di supporto della sicurezza, ente con ampi poteri in materia di polizia e sicurezza nazionale.

«C’era sangue delle persone [morte e ferite] sui muri e sul pavimento [ma] era come se non fosse mai accaduto nulla. Ti picchiano e ti abbandonano, e nessuno fa domande. Morire in Libia è normale: nessuno ti verrà a cercare e nessuno ti troverà», ha raccontato Jamal, un rifugiato ventunenne presente durante la sparatoria mortale di febbraio 2021 nel centro di Abu Salim.

Nel centro di detenzione di Shara’ al-Zawiya a Tripoli - precedentemente diretto da una milizia e ora integrato nel Dcim - i detenuti hanno raccontato ad Amnesty International che le guardie stupravano le donne e che alcune di loro venivano obbligate ad avere rapporti sessuali in cambio di cibo e acqua potabile o della libertà.

«Abbiamo sofferto molto in quella prigione… Tre guardie mi hanno detto che se fossi andata a letto con loro, poi mi avrebbero liberato. Gli ho detto di no. Mi hanno picchiato con una pistola. Ancora oggi mi fa male. Non ho libertà e non ho pace», ha raccontato Grace, una ventiquattrenne intercettata in mare nel 2021, detenuta in modo arbitrario nel centro di Shara’ al-Zawiya.

La morte

A seguito delle violenze subite, due giovani donne detenute a Shara’a al-Zawiya hanno tentato il suicidio.

Tre donne hanno testimoniato che due bambini, detenuti in cattive condizioni di salute con le loro madri dopo essere stati intercettati in mare, sono morti all’inizio del 2021 dopo che le guardie avevano rifiutato di trasferirli in ospedale.

Inoltre, nonostante le autorità libiche abbiano dichiarato di voler chiudere i centri del Dcim dove si sono verificate violazioni dei diritti umani, le stesse violazioni si stanno verificando nei centri di detenzione nuovi o trasferiti sotto il controllo dello stesso Dcim.

«L’intero sistema dei centri di detenzione libici per i migranti è marcio dalle fondamenta e dev’essere smantellato. Le autorità libiche devono chiudere immediatamente tutti i centri di detenzione per rifugiati e migranti e porre fine alla loro detenzione», ha detto Eltahawy.

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