Karol Wojtyla, negli anni in cui fu arcivescovo di Cracovia, fra il 1964 e il 1978, venne a conoscenza di casi di abuso sessuale su minori commessi da preti polacchi e anzi contribuì al loro insabbiamento? Secondo le rivelazioni del giornalista olandese Ekke Overbeek che vive in Polonia e ha passato gli ultimi anni a indagare negli archivi dei servizi segreti dell’epoca comunista, la risposta è affermativa.

Di fatto, ha spiegato Overbeek, molti dei documenti riguardanti direttamente l’operato del futuro Giovanni Paolo II sono andati distrutti, tuttavia un’importante mole documentale che cita indirettamente Karol Wojtyla è rimasta agli atti e proprio da questa si può dedurre il ruolo che ebbe l’ex arcivescovo di Cracovia nella gestione di gravi casi di abuso.

«Ho trovato casi di sacerdoti  che hanno abusato di bambini nell’arcidiocesi di Cracovia», ha detto Overbeek. «Il futuro papa ne era a conoscenza» e tuttavia non esitò a trasferire altrove quei preti, una scelta che ha avuto come conseguenza il fatto che continuassero ad abusare.

In sostanza, Wojtyla, da arcivescovo, si sarebbe comportato nello stesso modo di tanti suoi confratelli in giro per il mondo prima che lo scandalo delle violenze sessuali commesse da membri del clero venisse alla luce e la stessa Chiesa reagisse pubblicamente al problema.

Va ricordato, fra l’altro, che la clamorosa inchiesta del 2002 condotta dal Boston Globe sulla diocesi di Boston, prese il via appunto dalla scoperta di un sistema di insabbiamenti consolidato in base al quale quando gli abusi di un prete cominciavano a creare problemi in una parrocchia o in una diocesi, il sacerdote veniva trasferito altrove dove, non di rado, reiterava il reato.

Il caso del prete recidivo

Fra i casi più gravi emersi negli ultimi tempi in Polonia, c’è quello del predatore seriale don Eugeniusz Surgent, morto nel 2008 all’età di 77 anni, accusato di aver commesso abusi in diverse parrocchie e regioni del Paese. Ebbene, secondo Overbeek, proprio della sua vicenda era a conoscenza Wojtyla.

Fra l’altro, il giornalista che nel prossimo mese di gennaio pubblicherà un libro dal titolo Maxima culpa nel quale ha raccolto i risultati della sua indagine, cita, a proposito di don Surgent, la lettera di un compagno di cella del sacerdote in questione che «all’epoca – ha spiegato ai media il giornalista – era già stato arrestato per abusi. Il compagno di cella racconta di come il sacerdote avesse chiesto perdono per i suoi comportamenti in una lettera all’arcivescovo Wojtyla, dopo aver promesso che non sarebbe mai più accaduto niente del genere». 

Ma, ma una volta uscito di prigione, aveva ricominciato da capo. Secondo un’altra inchiesta pubblicata dal quotidiano polacco Rzeczpospolita alla fine di novembre, negli anni Settanta Surgent è stato condannato a tre anni di carcere per aver abusato sessualmente di sei ragazzi. 

Tuttavia, successivamente, ha ricoperto altri incarichi, sempre in qualità di prete, che lo mettevano in contatto con dei minori, incluso l’insegnamento del catechismo cattolico. Il giornale ha scoperto come il prete continuasse ad abusare di altre vittime negli anni Ottanta.

La vicenda è stata così commentata da padre Piotr Studnicki, capo dell’ufficio protezione dei minori della conferenza episcopale polacca: «l’enormità del danno causato da Eugeniusz Surgent è scioccante e terrificante, ma in questo momento dovremmo pensare ancora di più alle persone ferite». Il coinvolgimento di Karol Wojtyla era dunque nell’aria, il suo nome era infatti già emerso in relazione al caso Surgent, tuttavia le ultime rivelazioni provenienti dagli archivi dei servizi segreti polacchi aggiungono un tassello importante alla vicenda.

I vescovi polacchi difendono Wojtyla

Karol Wojtyla, in una foto quando era arcivescovo di Cracovia (Ap Photo/Gianni Foggia)

D’altro canto, la conferenza episcopale polacca, evidentemente non per caso, aveva sentito la necessità, lo scorso 14 novembre, di pubblicare una lunga nota di precisazioni, fortemente difensiva, circa il comportamento di Giovanni Paolo II in relazione alla gestione dei casi di abuso sessuale.

Il documento si limita ad esaminare il pontificato – durato 27 anni – ma comunque tende a tutelare per intero l’immagine di Wojtyla. Intanto, si afferma che i tentativi di dimostrare la scarsa volontà di affrontare la pedofilia del clero, da parte del papa polacco, fanno parte di una più generale manovra per sminuirne l’insegnamento sui temi che «riguardano il valore della vita umana e la sua tutela dal momento del concepimento alla morte naturale, il valore del matrimonio e della famiglia, la moralità della vita sessuale», ha detto l’arcivescovo di Poznan, Stanisław Gądecki, presidente dei vescovi polacchi.

Un magistero che, si afferma poi nella nota, «non corrisponde alle attuali ideologie che propagano l’edonismo, il relativismo e il nichilismo morale». Quindi viene ripetuto l’argomento di fondo sempre sostenuto in tutti questi anni dai difensori del pontefice polacco: ovvero che il papa era all’oscuro della vastità del problema e, quando il fenomeno cominciò ad emergere, era convinto si trattasse di un problema principalmente americano.

Sembra, si legge nel documento della chiesa polacca, che «nel periodo che va dalla metà degli anni Ottanta alla metà degli anni Novanta del secolo scorso, lo scandalo degli abusi sessuali si manifestava per Giovanni Paolo II come un problema principalmente della chiesa degli Stati Univi e dei paesi anglosassoni».

Non solo: «La consapevolezza del papa riguardo la portata e le conseguenze di questi abusi è cresciuta con il passare degli anni. Per lui diventava sempre più chiaro che i vescovi ei superiori degli ordini religiosi non avevano intrapreso le azioni adeguate e previste dal diritto». 

Di certo, tutta questa ricostruzione, viene oggi messa definitivamente in discussione dalle ultime rivelazioni. Vale poi appena la pena ricordare che alcuni dei più stretti collaboratori di Giovanni Paolo II, il suo segretario personale, l’attuale cardinale Stanislaw Dziwisz, il segretario di Stato dell’epoca, il cardinale Angelo Sodano, il cardinale colombiano Dario Castrillon Hoyos, a lungo prefetto vaticano della Congregazione per il clero, sono stati protagonisti attivi della politica degli insabbiamenti, e della copertura rispetto allo scandalo degli abusi sessuali.  

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