L’incertezza ci avvolge mentre stiamo togliendo attenzione ai passi che avevamo disegnato per riformare il sistema. Si parlava del Piano nazionale di ripresa e resilienza anche al bar, mentre oggi siamo disattenti ai tempi della sua attuazione, tutti assorbiti dalla guerra ucraina. A questa attribuiamo fin d’ora ogni colpa per la stagflazione che sembra attenderci. Dimentichiamo che il prezzo del gas è salito molto prima della guerra e che la ripresa della domanda era soprattutto un rimbalzo dalla caduta del 2020.

Una ripresa gonfia della droga internazionale di politiche monetarie e di bilancio insostenibili e soggetta all’alea di un precario equilibrio politico nazionale. Avvolti da questa incertezza, ci stordiamo con discussioni belliche e ricamiamo ipotesi su un sollecito arresto degli acquisti di gas russo. Il Documento di economia e finanza stima che provvedimenti del genere possano comportare cali del Pil di 2 punti e più. In realtà l’impatto dipende in modo essenziale da come viene razionata l’energia. Impossibile pensare che si lascerebbe operare solo il prezzo.

Ciò avrebbe conseguenze per famiglie e imprese insopportabili se non con ristori di ammontare impossibile da parte della finanza pubblica. Servirebbe dunque un contingentamento delle quantità, con grandi complicazioni amministrative: una strada talmente difficile che nessuno ci sta pensando seriamente.

Sicché rimane il giusto impegno del governo nel provvedere a
una sostituzione graduale del gas russo, in misura e con tempi che non saranno certo risolutori del conflitto. In accordo con questa politica energetica, che guarda al medio-lungo periodo, dovremmo riprendere a parlare, anche al di fuori del gabinetto di Mario Draghi, di riforme strutturali, con decisione indipendentemente dall’evolvere della tragedia ucraina.

Un programma

L’opinione pubblica, nei giornali, nei talk show, negli incontri fra amici, nelle proposte politiche, deve tornare a raccogliersi attorno a un programma con due obiettivi cruciali, con i quali cominciavamo a familiarizzarci prima di metterci a disquisire sul pericolo nucleare. Uno specifico del nostro paese: aumentare significativamente il
tasso di crescita strutturale che da più di vent’anni è inferiore a quello dei paesi con cui ci confrontiamo e con le esigenze di sviluppo sociale. Vanno corrette storture profonde del nostro sistema, nei nostri mercati, nella nostra pubblica amministrazione.

L’altro comune a tutto il mondo, soprattutto quello più sviluppato: modificare il modello di crescita per affrontare le grandi transizioni che sono indispensabili per assicurare la sostenibilità dello sviluppo: quella energetica-climatica-ambientale, quella digitale, quella demografica, quella distributiva.
Eravamo su una strada promettente, con l’aiuto dell’Unuone europea e una consapevolezza che stava diffondendosi in tutto il mondo, sia nel riconoscere i problemi sia nel fissare gli obiettivi e nel ragionare sugli strumenti. Dobbiamo ritornare al più presto su quella strada, con convinzione: vi troveremmo anche più coraggio e chiarezza nell’affrontare l’incubo della guerra.

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