Sta prendendo corpo la mobilitazione per chiedere di liberare l’attivista no Tav Dana Lauriola, in carcere da quasi sei mesi in esecuzione di una condanna a due anni per il reato di violenza privata. L’appello partito il 4 marzo e indirizzato alla ministra della Giustizia, Marta Cartabia, al garante nazionale dei detenuti Mauro Palma e a quello di Torino Bruno Mellano, ha già raccolto oltre 200 firme di intellettuali, politici, professori, avvocati e anche magistrati.

La vicenda processuale

La trentottenne Dana Lauriola, storica attivista No Tav, è stata arrestata la notte del 17 settembre 2020 dalla sua casa di Bussoleno, in Valsusa e sta scontando nel carcere di Torino Le Vallette una condanna di due anni per violenza privata e interruzione aggravata di servizio di pubblica necessità, confermata dalla Cassazione.

I fatti risalgono al 2012, quando Lauriola partecipò a una protesta contro la Torino-Lione durante la quale 300presone bloccarono per circa venti minuti il casello autostradale di Avigliana, sulla Torino-Bardoneccha, alzando le sbarre del pedaggio e facendo passare gli automobilisti senza pagare, bloccando con il nastro adesivo l’accesso ai tornelli del casello. Il danno quantificato è stato di 777 euro di pedaggi non pagati, già rimborsati dagli attivisti.

Quando è arrivata notizia della condanna, per cui sono state rifiutate le pene alternative proposte dalla difesa, gli attivisti del movimento hanno organizzato un presidio fisso davanti alla casa di Lauriola, e che erano lì anche al momento dell’arresto, quando le forze dell’ordine si sono presentate in tenuta antisommossa. 

«Andrò in carcere, ma la notizia non giunge inaspettata. Ho semmai la fortuna di poter salutare famiglia e amici prima che vengano a prendermi», era stato il commento di Lauriola al momento della condanna.

L’avvocato di Lauriola, Claudio Novaro, aveva commentato l’arresto e la decisione del tribunale di Torino di non accogliere la richiesta di misure alternative definendola «incomprensibile» e «del tutto stonata rispetto alle relazioni dei servizi sociali che hanno perorato la messa in prova, invece il tribunale la ha mandata in carcere».

Oltre al rifiuto delle misure alternative, nel gennaio scorso la direttrice del carcere ha fatto richiesta al tribunale di sorveglianza di censurare la posta di Lauriola, con la motivazione di un tentativo di fare propaganda dentro la struttura detentiva. Il magistrato, però, ha rigettato la domanda per «mancanza di fatti aderenti a tale richiesta».

L’appello in suo favore

L’appello indirizzato alla ministra Cartabia si fonda proprio sul rigetto dell’istanza di misure alternative. 

"Diventata definitiva la sentenza, Dana Lauriola ha chiesto di scontare la pena in misura alternativa, ma il Tribunale di sorveglianza di Torino ha respinto l’istanza, pur in assenza di precedenti condanne definitive e nonostante l’esistenza di un lavoro stabile di notevole responsabilità e le valutazioni ampiamente favorevoli dei servizi sociali dell’amministrazione della giustizia. La motivazione del rigetto è che Dana Lauriola «non ha preso le distanze» dal movimento No Tav e che il suo domicilio «coincide con il territorio scelto come teatro di azione dal movimento No Tav, il quale ha individuato il cantiere di Chiomonte per la realizzazione della futura linea dell’Alta Velocità come scenario per frequenti manifestazioni e scontri con le Forze dell’ordine»”, si legge nel testo dell’appello.

La ragione della mobilitazione sta proprio nelle ragioni per cui le misure alternative alla detenzione non sono state applicate: “Denunciamo, da un lato, l’evidente sproporzione tra i fatti (commessi senza violenza alle persone e con un danno patrimoniale di assoluta modestia) e la pena e, dall’altro, la sorprendete anomalia della mancata concessione di una misura alternativa al carcere (pur consentita dalla legge e coerente con le condizioni soggettive di Dana). Il nostro stupore e la nostra preoccupazione, poi, aumentano guardando alle motivazioni con cui l’istanza di misura alternativa è stata respinta: Dana non può beneficiare della pena alternativa e, quindi, merita il carcere per aver tenuto fermi i propri «ideali politici» e la propria opposizione al Tav e perché abita nella valle in cui ci sono i suoi affetti, i suoi interessi, i suoi compagni di vita e di militanza”. 

Tra i firmatari, che sono oltre duecento, ci sono l’ex deputato Luigi Manconi e Luciana Castellina, la scrittrice Michela Murgia e la saggista Lea Melandri, le registe Sabina Guzzanti e Emma Dante, il vignettista Sergio Staino ma anche il pm del processo sulla trattativa stato-mafia Vittorio Teresi, l’ex magistrato e membro del Csm Giovanni Palombarini e la magistrata e relatrice speciale dell’Onu sulla tratta degli esseri umani, Maria Grazia Sammarinaro.

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