Manca poco alla riforma della giustizia penale, che potrebbe arrivare già a luglio se il Consiglio dei Ministri licenzierà gli emendamenti del governo al testo base, come sembra intenzionato a fare, alla prossima seduta utile. Questa è la promessa fatta in mattinata dal ministro della Giustizia Marta Cartabia davanti ai vertici della magistratura lombarda, riuniti a sentire il suo intervento nell'aula magna del Palazzo di Giustizia di Milano all'interno di un incontro organizzato dalla Corte d'Appello sull'«ufficio del processo».

A quel punto la riforma sarà blindata, è il sottotesto. Al riparo da eventuali guerriglie parlamentari soprattutto da parte dei Cinque stelle sulle modifiche alla prescrizione.

Questo passaggio mattutino della ministra ha preceduto l'appuntamento all'Università statale di Milano sempre per discutere di questi temi con gli accademici e gli studenti.

«Anche se si va ad agire sul testo di un ddl già incardinato (scritto dall''ex ministro Bonafede, ndr)» ha detto la Cartabia, la riforma penale sarà «profonda», capace di incidere su «istituti nevralgici» della procedura penale.

Velocizzare la giustizia

La ministra non si è addentrata ulteriormente nel concreto delle riforme in discussione limitandosi a dire che «la prescrizione – vexata questio degli ultimi governi – è un problema davvero marginale quando la giustizia funziona». Un passaggio che lascia intendere che tempi e modi della prescrizione, il punto cardine della riforma Bonafede, non siano più al centro dell'azione di governo su questo specifico tema. In realtà ciò che si chiede all'Italia è una giustizia veloce, e su questo il governo si è impegnato a ridurre del 25 per cento i tempi del processo penale e di ben il 40 per cento quelli della giurisdizione civile, la cui riforma è stata già licenziata dal governo ed è ora in discussione al Senato per il necessario passaggio parlamentare.

Per arrivare a questi risultati è fondamentale snellire e potenziare la magistratura giudicante e l’ufficio del processo, che a Milano è già realtà con i tanti giovani tirocinanti impegnati a supportare i magistrati nel loro lavoro. Il Pnrr, ha detto la ministra, prevede 16.500 assunzioni in due tranches da 8.250 l’una «a tempo determinato, come fissato nelle condizioni di Bruxelles». La più consistente immissione di nuove e fresche energie per la giustizia degli ultimi tempi.

L’ufficio del processo

La grande scommessa del ddl penale è l’introduzione dell’ufficio del processo. Tecnicamente, si tratta di una struttura organizzativa costituita con l’obiettivo di «garantire la ragionevole durata del processo, attraverso l’innovazione dei modelli organizzativi ed assicurando un più efficiente impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione».

In pratica, si tratta di affiancare al giudice togato un team di lavoro che lo sgravi degli incombenti preparatori alle udienze e lo aiuti a velocizzare la redazione dei provvedimenti.

Per questo ruolo d’ausilio sono individuate tre figure: i giudici onorari che sono incaricati di svolgere tutti gli atti preparatori, i tirocinanti che coadiuvano uno o più giudici sempre negli atti preparatori e il personale di cancelleria che svolgono compiti di natura amministrativa.

Obiettivo: abbattere l’arretrato che grava sugli uffici e e ridurre la durata dei procedimenti civili e penali.

La previsione è quella di assumere a tempo determinato per due scaglioni della durata massima di 2 anni e 7 mesi e di 2 anni circa 16.500 laureati, che avranno un ulteriore incentivo: l’esperienza maturata gli darà punteggio aggiuntivo nei concorsi del ministero e anche posti riservati.

In questo modo la ministra punta ad ottenere il risultato promesso ai vertici europei, ma per facerla è necessaria la collaborazione degli uffici giudiziari e soprattutto dei togati e con questo scopo è nato il “tour” delle corti d’appello.

Le critiche dei pubblici ministeri

Questo passaggio marcato sull’ufficio del processo non è stato esente da critiche, arrivate per bocca del procuratore generale di Milano Francesca Nanni, che ha premesso di parlare a nome di tutti i procuratori generali d'Italia. Per la Nanni la riforma così è «disarmonica» in quanto tutte le nuove risorse sono destinate agli uffici giudicanti mentre la magistratura inquirente resterà al palo tra problemi di sottorganico organizzazione. «Solo con indagini veloci e precise si può avere una giustizia celere e che porti a una crescita dei riti alternativi» sui quali si misura l'efficacia di questa importantissima funzione, ha sottolineato il magistrato.

A sottolineare l'improcrastinabile necessità di una riforma della giustizia, la Cartabia ha ricordato che dalla riforma della giustizia dipende l’erogazione «non solo della quota di finanziamenti destinati al nostro settore» –2.3 miliardi di euro destinati alla giustizia – ma «l’intero finanziamento destinato al nostro paese, 219 miliardi di euro». E che per questo motivo la «responsabilità di ciascuno di noi è enorme».

Il legame tra i fondi europei e le riforme della giustizia diventa poi il legame tra tessuto economico italiano e giustizia, che dev'essere « sia efficace ed efficiente», veloce, credibile, e «capace di rispondere alle domande di cittadini e imprese». Una notazione, quest'ultima «ben nota e ancora più importante» nella «capitale economica d’Italia», perchè una giustizia lenta e che arranca, che fatica a seguire i cambiamenti dei bisogni dei suoi cittadini diventa «non appetibile anche per gli investitori stranieri» ha detto la ministra. Questo è il motivo per il quale il governo Draghi in questi quattro mesi e mezzo ha lavorato su tutto ciò che concerne il Pnrr, «ma per l’intensità con cui abbiamo lavorato sembrano quattro anni e mezzo» per «costruire il nostro ponte di Genova della giustizia».

Il caso “Milano”

I cenni a Milano della Cartabia si sono fermati al suo ruolo nell'economia. Nessuna parola, com'era anche logico attendersi, sulla situazione della procura del capoluogo lombardo dove il ministro ha inviato poco tempo fa gli ispettori per cercare di fare chiarezza sulla guerra che la sta spaccando. 

Eppure per molti non è un caso che il “tour” delle corti d’appello della ministra sia iniziato proprio dalla sede che attualmente è in maggiore difficoltà dopo il caso dei processo Eni e i problemi interni alla procura. Un segno di vicinanza indubbiamente, ma anche un modo di mostrare che la ministra osserva con attenzione la situazione. Prima dell’evento pubblico, infatti, Cartabia ha incontrato i vertici di magistratura e avvocatura, ufficialmente per avviare con loro una interlocuzione diretta sulle riforme. Ma forse anche per tastare il terreno, gli umori e le preoccupazioni intorno al futuro degli uffici del secondo ufficio giudiziario più importante d’Italia.

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