«Voglio ringraziarvi per il lavoro giornalistico che ha innescato un dibattito nel paese e fuori dai confini nazionali»: ha esordito così la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, nel rispondere al direttore di Domani, Stefano Feltri, sulle violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, rivelate dalle inchieste del quotidiano. Intervistata ieri durante la festa del giornale a Parma, Cartabia ha annunciato che il ministero sta vagliando l’introduzione delle body-cam che rendano riconoscibili e controllabili gli agenti di polizia penitenziaria.

Per loro già nei mesi scorsi Domani aveva chiesto l’introduzione di numeri identificativi. La guardasigilli ha anche parlato della riforma del processo penale e toccato il tema dell’abuso di querele intimidatorie nei confronti dei giornalisti.

Identificare gli agenti

Nell’annunciare il possibile arrivo delle body-cam, Cartabia ha specificato che «servono normative, ma non ci sono ostacoli», dal punto di vista della privacy. «Per ora stiamo facendo dei passi preliminari, ho chiesto uno stanziamento di bilancio, perché questi strumenti costano, ma non ci sono particolari difficoltà», ha aggiunto la ministra.

L’Italia è uno di soli cinque paesi Ue che non prevedono l’identificabilità delle forze dell’ordine, nonostante esista una raccomandazione europea del 2011 sull’obbligatorietà del numero identificativo per gli agenti.

Proposte di legge sull’introduzione di questa forma di identificazione per la polizia sono state introdotte nella scorsa legislatura, ma non sono mai uscite dalla discussione in commissione.

E restano ancora bloccate quelle avanzate dal radicale Riccardo Magi e da Giuditta Pini del Pd: quest’ultima chiedeva anche l’introduzione delle body-cam, come quelle di cui ha parlato Cartabia.

La riforma delle carceri

Quella di una strumentazione di controllo più completa, ha spiegato Cartabia, è una richiesta che è stata avanzata sia dai detenuti sia dal personale carcerario.

Un’altra richiesta della polizia penitenziaria è quella di «una maggiore formazione per intervenire in modo adeguato» in situazioni di tensione: «Stiamo aumentando l’offerta», ha affermato la ministra. Cartabia ha anche detto che i fatti di Santa Maria Capua Vetere hanno sollecitato il governo «a verificare cosa stava succedendo in altri carceri, soprattutto in quelli dove ci sono state rivolte».

L’abuso delle querele

Di fronte alla domanda di Feltri sull’abuso delle richieste di danni ai giornali in sede civile da parte di politici e giornalisti e sull’effetto che possono avere sulla libertà di stampa, la ministra ha sottolineato che è un problema sentito non solo in Italia. Il tema, ha detto Cartabia, è emerso anche durante la seduta di ottobre del Consiglio dei ministri dell’Unione europea, sollevato dalla vicepresidente della Commissione, Věra Jourová: «Ha voluto parlare delle Slapp, Strategic lawsuit against public participation, che colpiscono giornalisti e non solo allo scopo di raffreddare il dibattito pubblico». «Si sta ragionando su uno strumento per risolvere il problema», ha spiegato Cartabia: «Da una parte c’è la preoccupazione per l’ampiezza del dibattito pubblico, dall’altra non si può sacrificare il diritto di ogni persona ad accedere a un giudice per tutelare i propri interessi personali, ma è un punto di lavoro interessante».

Il caso Regeni

La ministra ha anche parlato degli sviluppi recenti del processo per l’omicidio di Giulio Regeni, che in assenza di conferma dell’avvenuta notifica ai quattro imputati - membri dell’intelligence egiziana - dovrà tornare di fronte al Giudice per l’udienza preliminare, per una nuova rogatoria.

«Gli uffici giudiziari italiani si sono appoggiati alle ambasciate egiziane che non hanno dato riscontro dell’avvenuta notificazione», ha detto Cartabia. «La ripeteremo, anche con investimento maggiore da parte del ministero stesso, nell’ambito di ciò che è consentito dal diritto attuale». «Il caso Regeni è clamoroso, ma è un problema che riguarda molti processi penali», ha poi continuato Cartabia, sottolineando che è un tema affrontarto anche dalla riforma del processo penale: «Nella riforma si rende più incisiva la ricerca dell’imputato, ma quando c’è contezza del fatto che l’imputato si sta sottraendo si consente di procedere». Sempre parlando della riforma, la ministra ha affermato che il discusso meccanismo dell’improcedibilità dovrà funzionare come un’extrema ratio e che per risolvere il nodo dei tempi della giustizia italiana sono stati previsti investimenti di risorse e personale. E quando Feltri le ha chiesto quale fosse stata la questione più difficile affrontata in questi otto mesi da guardasigilli, Cartabia ha menzionato proprio quello: «L’improcedibilità stato il capitolo più difficile, perché lì tutte le argomentazioni di merito e di contenuto si scontravano con posizioni pregresse, c’erano condizionamenti politici che hanno reso impercorribili alcune proposte».

La crisi della magistratura

La guardasigilli ha anche commentato lo stato della credibilità della magistratura, dopo i vari scandali tra il caso Palamara e quello dei verbali di Piero Amara. «Non è giusto addebitare all’intero corpo della magistratura negli scandali Palamara e simili. La maggior parte dei giudici sono coscienziosi e dediti al loro lavoro», ha detto la ministra. «La riforma dell’elezione del Csm», ha poi continuato Cartabia, «è sentita come necessaria. Ma c’è questa aspettativa che è simile a quella di rinnovare la politica cambiando il sistema elettorale, quando poi sempre è difficile prevedere l’effetto che avrà».

Per Cartabia la magistratura ha soprattutto bisogno di quella «rigenerazione» profonda auspicata di recente anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

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