Se si dichiara il falso nelle autocertificazioni si commette il reato di falso ideologico, previsto dall’articolo 483 del codice penale? Si moltiplicano i casi di giurisprudenza ce sostiene di no, dunque favorevole a chi scrive ragioni non vere le autocertificazioni che le forze dell’ordine chiedono di compilare nel caso di fermo durante i periodi di zona rossa sui territori regionali. 

I casi più eclatanti sono tre – due vengono da Milano, uno da Reggio Emilia – dove i giudici hanno revocato multe e condanne a chi era stato scoperto, nei controlli successivi alla compilazione, a giustificare in modo non veritiero la ragione per cui passeggiava per strada al di fuori delle regole stabilite dal Dpcm.

Milano

La sentenza che ha inaugurato il filone arriva da Milano e risale alla fine del 2020 (Gip, sentenza n. 1940 del 16 novembre 2020). Nel procedimento penale per falso, il gip milanese ha confermato che l’intenzione dichiarata nel modulo dall’imputato si sia rivelata falsa.

Tuttavia, ha escluso che questo possa essere un falso ideologico. La ragione è tecnica: il reato di falso si commette solo se si dichiara il falso su fatti di cui esiste verità già attuale. Dunque su fatti del presente e del passato.

Il reato, invece, non si configura quando le dichiarazioni siano «mere manifestazioni di volontà, intenzioni o propositi», come nel caso dell’autocertificazione in cui si dichiara che ci si sta spostando per andare al lavoro, oppure dal medico o che lo spostamento è dettato da uno stato di necessità.

Questo precedente, dunque, apre a una doppia interpretazione: commette falso chi dichiara nel modulo, per esempio, chi dichiara falsamente che sta tornando a casa dopo un controllo medico. Questo, infatti, è un evento del passato verificabile, non una intenzione. Non commette falso invece chi dice che si recherà da medico ma in realtà non ci sta davvero andando.

Reggio Emilia

Nel caso di Reggio Emilia, (Gip, sentenza 27 gennaio 2021, n. 54) il gip ha rigettato la richiesta dei pm di emettere un decreto penale di condanna per il reato di falso ideologico nei confronti di due persone che avevano dichiarato il falso nell’autocertificazione.

Entrambi gli imputati avevano detto di trovarsi fuori casa uno perchè andava dal medico, l’altra per accompagnare il coniuge.

Il gip ha assolto i due, perchè ha ritenuto illegittimo il Dpcm del governo che impone l’autocertificazione scritta, sostenendo che una fonte regolamentare come è il Dpcm (che è atto amministrativo e non una legge).

Un obbligo che riduce la libertà personale come quello di rimanere a casa, però, deve essere sottoposta a un controllo giurisdizionale e questo è possibile solo per legge. L’articolo 13 della Costituzione, infatti, stabilisce che misure restrittive della libertà personale devono essere adottate solo per legge.

L’ultima pronuncia di Milano

L’ultima pronuncia in ordine di tempo è quella del tribunale di Milano. Il caso è quello di un ragazzo che viene fermato per un controllo e dichiara di essere diretto al lavoro. Al controllo delle forze dell’ordine, però, il datore di lavoro dichiara che quel giorno il ragazzo non lavorava.

Scatta il decreto penale di condanna e la multa di oltre 2 mila euro. ll ragazzo fa l’opposizione e da un lato dimostra che invece quel giorno lavorava, secondariamente anche però che non esiste una legge che obblighi, nel caso dell’autocertificazione Covid, a dire la verità.

Il tribunale dà ragione alla difesa e stabilisce che «un simile obbligo di riferire la verità non è previsto da alcuna norma di legge» e, anche se ci fosse una norma che lo prevede, questa sarebbe «in palese contrasto con il diritto di difesa del singolo».

Tre pronunce di merito diverse che valgono per i singoli casi ma che stanno facendo maturare una giurisprudenza che solleva esattamente uno dei quesiti di pratica politica che più hanno fatto discutere sin dall’inizio della pandemia: il Dpcm è uno strumento potenzialmente inadeguato a ridurre le libertà personali e configurare responsabilità penale in caso di violazioni non è scontato.

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