La sentenza del Consiglio di Stato che ha annullato la nomina del procuratore capo di Roma, Michele Prestipino, certifica come la Capitale sia la grande questione irrisolta del Consiglio superiore della magistratura.

I giudici amministrativi hanno bollato come «illegittima» e «illogica» la nomina dell’allora aggiunto al vertice della più grande procura d’Europa e dato ragione in due gradi di giudizio al procuratore generale di Firenze, Marcello Viola, escluso dalla competizione a causa dello scoppio del caso Palamara.

Una decisione pesantissima, che da un lato destituisce formalmente Prestipino (che tuttavia resta materialmente al suo posto come facente funzioni, in attesa di nuova decisione del Csm), dall’altro impone al Consiglio a riesaminare la pratica secondo parametri stringenti e prefissati. La decisione spetta al Csm, ma la sentenza ha messo in luce quanto siano state fragili le motivazioni per la nomina di Prestipino e dunque indirettamente ne ha dichiarato l’insostenibilità.

Proprio intorno a questo si articola l’ennesimo problema interno all’organo di governo autonomo della magistratura. Dal punto di vista del metodo e delle formalità, la scelta più in linea con il dettato del giudizio amministrativo è quella di individuare un nuovo procuratore capo di Roma al posto di Prestipino. La quinta commissione, cui spetta la proposta dei nomi dei candidati, dovrà riprendere in esame l’intero fascicolo. Al plenum del Csm, invece, toccherà il voto finale.

Dal punto di vista della politica interna alle toghe, però, la questione è ben più complicata. Non a caso, nelle settimane successive alla prima sentenza del Tar Lazio che dava ragione a Viola e all’altro escluso, il procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi, dal Csm era filtrata l’ipotesi di “accomodare” la vicenda nel modo più indolore possibile. Ovvero quella di mantenere Prestipino al suo posto per fatti concludenti, eliminando l’interesse dei due esclusi a chiedere di riesaminare la nomina. La geografia interna degli uffici e i pensionamenti dei prossimi mesi, infatti, permetterebbero di destinare Marcello Viola a capo della procura di Palermo (oppure di quella di Milano, se lui la chiedesse) e Francesco Lo Voi al vertice dell’Anitimafia. Una sorta di redistribuzione interna dei ruoli che, quando è stata architettata, doveva accontentare tutti: Lo Voi e Viola avrebbero ottenuto incarichi prestigiosi; il Csm non avrebbe dovuto rimettere mano alla nomina che è stata alla base dello scandalo Palamara; la gestione della procura di Roma avrebbe potuto continuare senza ulteriori traumatici intoppi. Anche perchè – era il ragionamento di alcuni togati – cambiare in corsa un procuratore capo, soprattutto con questo clamore mediatico, avrebbe creato un danno all’ufficio e lo stesso nuovo nominato si sarebbe andato a sedere su una poltrona assai scomoda. Tutto questo con buona pace della sentenza del Consiglio di Stato, da superarsi con una nuova delibera di nomina con una motivazione più ampia e dettagliata.

L’alternativa

Tuttavia, questo disegno apparterrebbe a una stagione delle alleanze interne al Csm ormai superata. A dimostrare come i rapporti di forza su Roma siano cambiati rispetto a qualche mese fa è il voto sulla nomina del presidente del tribunale della Capitale, ruolo vacante da oltre un anno. Nel voto del 10 maggio il plenum si è spaccato a metà ed è stato scelto con un solo voto di scarto Roberto Reali, proposto dalla corrente centrista di Unicost contro Gaetano Bonomo, indicato invece dalla sinistra di Area. Determinante è stato il voto di Tiziana Balduini, di Magistratura indipendente, eletta alle ultime suppletive del Csm al posto del dimissionario Marco Mancinetti e che ha riportato a quattro i consiglieri della corrente delle toghe conservatrici. Le dimissioni dei sei togati in seguito allo scandalo Palamara, infatti, hanno fatto cambiare anche cinque su sei dei membri della quinta commissione: l’unica a rimanere al suo posto è stata Loredana Miccichè di Mi, la presidenza invece è passata a Giuseppe Marra di Autonomia e indipendenza, a cui si sono aggiunti il laico Cinque stelle Filippo Donati; il laico di Forza Italia Alessio Lanzi e i togati di Area e Unicost Giuseppe Cascini e Michele Ciambellini.

Saranno loro a dover decidere in da farsi sul caso Prestipino, istruendo di nuovo la pratica per la procura di Roma: se almeno uno di loro indicherà il suo nome nonostante la sentenza di Tar e Consiglio di Stato, verrà portato davanti al plenum che poi deciderà.

La sensazione è comunque quella che la maggioranza che a inizio 2020 ha sostenuto la nomina di Prestipino ora sia saltata. E, di conseguenza, anche la possibile tecnica di divisione dei prossimi ruoli vacanti a Lo Voi e Viola per fargli perdere interesse su Roma. Tuttavia, gli esiti sono difficilmente prevedibili, come le geometrie sempre più variabili all’interno del consiglio.

 

© Riproduzione riservata