Nel libro di Luca Palamara, l'ex toga radiata  e sotto processo per corruzione, il magistrato Giovanni Salvi viene citato solo in sei pagine, ma visto il ruolo e i fatti raccontati è bastato per aprire un caso.

Giovanni Salvi, oggi, è al vertice della magistratura italiana, è il procuratore generale della corte di Cassazione. A gennaio, insieme al capo dello Stato Sergio Mattarella, ha inaugurato l'anno giudiziario.

Salvi ha una lunga carriera alle spalle, pubblica accusa in processi importanti, è stato procuratore a Catania, poi procuratore generale a Roma prima di diventare procuratore generale in Cassazione. Proprio il suo ufficio promuove il giudizio disciplinare contro i magistrati protagonisti delle chat con Palamara, ma ora Salvi è al centro di uno scontro tra toghe.

Non ci sono solo gli episodi raccontati da Palamara e che hanno scatenato la reazione di alcuni magistrati, che fanno parte del movimento Articolo 101, ma c'è anche un'altra contesa aperta dal giudice, oggi in pensione, Antonio Esposito, il presidente della sezione feriale della Cassazione che ha condannato, nel 2013, Silvio Berlusconi.

Il tribunale amministrativo e la procura

A metà dicembre il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha bocciato la condotta della procura generale che aveva negato l'accesso agli atti all'ex giudice Esposito. La vicenda inizia nel 2014 quando Amedeo Franco, relatore della sentenza che condanna Silvio Berlusconi, firma un'altra sentenza che sconfesserebbe, a detta di Franco, quella sull’ex cavaliere. Franco, proprio nel 2014, incontra Berlusconi che aveva condannato un anno prima.

La presidenza della corte di Cassazione smentisce le affermazioni del Franco ritenendo che i due casi non erano affatto analoghi ed evidenziando che «alcune espressioni erano palesemente superflue rispetto al tema della decisione».

Esposito presenta un esposto contro Franco. Anni dopo, quando giornali e tv citano la sentenza Franco per denunciare la presunta parzialità del collegio che ha condannato Berlusconi, Esposito chiede alla procura generale l'accesso agli atti per conoscere l'esito dell'esposto presentato per mettere al corrente la corte Europea dei diritti dell’uomo dove pende il ricorso berlusconiano e dare corpo alle denunce presentate anche in sede penale per diffamazione.

Quella richiesta di accesso agli atti diventa un caso perché ha aperto uno scontro a colpi di ricorsi che non si è ancora chiuso. La procura generale deve consegnare gli atti, in nome della trasparenza, oppure mantenerli riservati visto che riguardano un procedimento disciplinare?

Nel luglio 2020, Luigi Salvato, procuratore generale aggiunto, firma il diniego: il ricorrente Esposito non può accedere alle carte relative all'esposto che ha presentato, ma soltanto conoscere che è stato definito. Definito come? Non è dato sapere.

Per motivare questa decisione la procura generale fa riferimento a diverse sentenze della giurisprudenza amministrativa che negherebbero l'accesso agli atti relativi al procedimento disciplinare. L'avvocato di Esposito, Alessandro Biamonte, presenta un ricorso che viene accolto dal tribunale amministrativo. «Le pronunce del Consiglio di Stato che la difesa erariale (la procura generale, ndr) invoca a sostegno della legittimità del diniego in questa sede impugnato depongono in senso esattamente contrario», scrivono i magistrati amministrativi lo scorso dicembre, insomma la procura generale ha letto le sentenze della giustizia amministrativa, ma senza coglierne la sostanza.

Per il tribunale l'istanza di Esposito non ha natura conoscitiva, ma si basa su esigenze difensive.

Alla fine gli atti sono stati concessi a Esposito, si tratta di un pronunciamento di poche pagine nel quale la procura generale archivia il caso Franco, senza neanche aprire il procedimento disciplinare, perché ormai, passati alcuni mesi dalla presentazione dell'esposto, Franco era andato in pensione. Contro la sentenza del tribunale amministrativo, la procura generale ha presentato ricorso al consiglio di Stato per tornare a un regime di 'riservatezza' su questi atti visto che secondo la procura le sentenze della giustizia amministrativa confermano il vincolo della segretezza. Al tema il procuratore Salvi ha dedicato anche una parte del suo intervento durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario. «Un altro aspetto che merita esame è costituito dalla segretezza della fase predisciplinare, segretezza che comprende anche gli esiti delle valutazioni. Per superare questo regime, almeno in termini generali, e per consentire la piena trasparenza delle attività dell’Ufficio, si è prevista la pubblicazione sul sito della procura generale delle massime dei decreti di archiviazione più significativi, così da consentire ai magistrati e all’opinione pubblica di conoscere le ragioni delle azioni in sede predisciplinare», si legge nell’intervento.

Cento magistrati contro

L'altro fronte aperto che riguarda Salvi è il libro di Palamara: l'ex magistrato menziona presunti incontri, uno su una terrazza romana, con l'attuale procuratore generale della corte di Cassazione per parlare proprio del futuro di Salvi.

A proposito delle chat inviate dalla procura di Perugia riguardante il caso Palamara e le raccomandazioni di diversi magistrati, lo scorso giugno, il procuratore Salvi, firma una circolare nella quale viene trattata la materia degli illeciti disciplinari escludendo i comportamenti finalizzati all'autopromozione «anche se petulante, ma senza la denigrazione dei concorrenti o la prospettazione di vantaggi elettorali».

A fine gennaio, 97 magistrati firmano una lettera indirizzata al procuratore Giovanni Salvi e al consigliere del Csm Giuseppe Casini, anche quest'ultimo al centro dei racconti di Palamara. «Secondo quanto riportato nel libro, l’attuale procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, in almeno due occasioni avrebbe incontrato in privato e su sua richiesta il Luca Palamara, all’epoca componente del Csm, per caldeggiare la propria nomina a importantissimo incarico pubblico (…) Ove veri, gettano un’ombra inquietante sia sui loro asseriti protagonisti che sulla sorprendente circolare dello stesso Procuratore Generale che assolve per principio chi raccomanda se stesso per incarichi pubblici e chi quella raccomandazione accetta», scrivono i magistrati chiedendo a Salvi di smentire i fatti o dimettersi dalle cariche ricoperte.

«Chi, come Salvi, occupa un ufficio pubblico di rilevantissima importanza (si tratta di uno dei due soli titolari – insieme al ministro della Giustizia – del potere di azione disciplinare nei confronti di tutti i magistrati) non può rimanere in silenzio dinanzi a una accusa del genere», dice Felice Lima, sostituto procuratore generale a Messina, e firmatario della lettera.

«Quando l’organo disciplinare è monocratico e ha un potere di ‘cestinazione’ delle notizie costituenti illeciti disciplinari deve avere una condotta irreprensibile. Proprio l’organo di vertice avrebbe adottato, secondo quanto emerso dal libro di Palamara, condotte da un punto di vista deontologico censurabili. Noi già sapevamo della presenza di pacchetti di nomine, di giochi falsificati, alla luce di tutto questo è inaccettabile che l’ufficio di procura generale, in una circolare, assolva quelli che si raccomandano. E anche l’Anm (associazione nazionale magistrati, ndr), che tace su questa vicenda, rischia di comportasi come un sindacato giallo», dice Andrea Reale, giudice delle indagini preliminari a Ragusa, componente del comitato direttivo centrale dell’Anm. Il procuratore generale Giovanni Salvi, contattato dal Domani, sulle questione riportate, non ha voluto commentare. 

© Riproduzione riservata