Dopo settimane di stallo e veti tra le correnti, soprattutto sul nome del presidente, l’Associazione nazionale magistrati ha eletto al suo vertice Giuseppe Santalucia. Storica toga del gruppo progressista di Area, ha avuto la fiducia di quattro correnti – Area, Magistratura indipendente, Autonomia e Indipendenza e Unicost – su cinque e dovrà guidare il sindacato delle toghe all’indomani della tempesta del caso Palamara.

Sono serviti 50 giorni per dare un presidente all’Associazione nazionale magistrati: un segnale che mostra come la crisi di sistema non è ancora alle spalle. Come mai questo travaglio?

Non si può prescindere dal fatto che il rinnovo dell’associazione e degli organismi è arrivato all’indomani di un periodo difficile, interessato da azioni disciplinari come quella nei confronti di Luca Palamara, ma anche da scontri e dissensi interni. Nessuno di noi ha dimenticato cosa è successo, per questo trovare l’unità, perché questo è stato l’obiettivo di tutti, e una giunta più unitaria possibile ha richiesto del tempo. Però posso dirle che il risultato era ambizioso ed è stato raggiunto: trovare un’unità effettiva e non di facciata. 

La crisi ha prodotto unità?

In un certo senso. La crisi ha agito su due piani: da un alto ha reso più accidentato il percorso della stesura di un programma unitario, ma dall’altro ha reso tutti più determinati in questo proposito. Si è agito nella ricerca di un comune obiettivo di unità sulle cose da fare presto e bene, e poi sul nome del Presidente la scelta, per me in modo inaspettato, è caduta su di me, fatto che mi lusinga.

L’unica corrente che le ha votato contro, Articolo 101, ha scritto che con la sua nomina «le correnti sono unite, i magistrati no».

Con rispetto per i colleghi, la trovo una semplificazione sbagliata, perchè traspone nel nostro mondo, con superficialità di approccio, modelli che non ci appartengono. La giunta non gestisce nè denaro nè potere, non ci sono accordi di gruppi a danno della magistratura ed esiste piena identificazione tra magistratura e associazione. Pensare ad accordi di gruppi dirigenti che non rispecchino le sensibilità della magistratura mi sembra, oltre che fuori fuoco, anche poco rispettoso del lavoro di chi si è messo al servizio dell'associazione. 

Il tema centrale per questa Anm è la “questione morale”. Cosa significa?

La “questione morale” si individua nella perdita di credibilità che la magistratura soffre ogni qualvolta emergono comportamenti non in linea con ciò che ci si attende dai magistrati. Un magistrato, che deve essere espressione di autonomia e indipendenza quando è sul suo scranno, se si lascia andare a comportamenti discutibili crea un problema, perché rende tutta la magistratura non credibile agli occhi della comunità. Far sentenze e comportamenti extra ufficio non possono essere scissi.

L’Anm come agirà?

Il giudice penale e il giudice disciplinare si occupano delle condotte più gravi, appunto illecite. Ma al di sotto di quelle soglie molto alte esistono comportamenti che ugualmente appannano l’immagine della categoria, anche se non sono sanzionabili. In questo spazio, che è quello della deontologia, l’attore principale è l’Anm, il cui codice etico è parametro a cui tutti gli associati devono conformarsi.

L’idea quasi ascetica della magistratura cozza con l’immagine che ne è uscita negli ultimi mesi.

Si sbaglia, non c’è alcun accento sacrale in quello che sto dicendo. I magistrati non sono sacerdoti ma esseri umani e, laicamente, l’Anm agirà per far rispettare un principio: i magistrati, per esercitare i loro alti compiti, non possono tenere comportamenti poco commendevoli.

Il tutto è emerso a causa del processo Palamara, che ha svelato il cosiddetto sistema delle correnti. Le correnti sono un problema?

Le correnti in magistratura avranno vita fino a quando avranno e sapranno dimostrare la loro ragion d’essere, quindi fino a quando saranno espressione di punti di vista sul modo di essere magistrato e sui rapporti con la politica e la società. Alcune teorizzano un magistrato silenzioso e votato all’aspetto tecnico, altre vedono nella tecnica una cifra politica che non può essere compressa. In quest’ottica, le correnti sono la nostra ricchezza, su cui si fonda la mediazione forza culturale dell’Anm.

Le correnti, però hanno mostrato anche il loro volto più deteriore.

Tutti noi ne conosciamo le degenerazioni. Il punto, però, non è non buttare a mare anche la ricchezza del loro apporto, ma evitare che le correnti degenerino in altro: in gruppi di interesse che tentano di influenzare la gestione del potere.

Questo volto è emerso anche a causa delle intercettazioni attraverso il Trojan installato nel cellulare di Palamara. Lei, che è stato il padre tecnico della riforma delle intercettazioni quando lavorava nell’Ufficio legislativo del ministro Orlando, che giudizio dà dell’utilizzo dello strumento?

Prescindendo totalmente dalla vicenda giudiziaria in corso, in generale io credo che sia necessario stare molto attenti quando si usano strumenti particolarmente invasivi. Le intercettazioni lo sono e vanno usate solo quando sono indispensabili; i Trojan, essendo ancora più invasivi, hanno bisogno di una indispensabilità ancora più rafforzata. Il legislatore ha esso mette in mano alla magistratura strumenti di particolare incidenza per fare efficacemente indagini, ma vanno usati con sapienza. Come il bisturi in mano al medico: è un ottimo ausilio, ma va usato con cautela. Quella cautela per me è la proiezione della professionalità dei magistrati, i quali devono sempre tener presente che stanno usando strumenti potenzialmente offensivi di diritti fondamentali che possono offendere i diritti, anche quando fanno giustizia.

Si riferisce alla pubblicazione delle intercettazioni?

Non va mai trascurata la tutela delle persone coinvolte nei procedimenti giudiziari. La riforma ha avuto come obiettivo la tutela del diritto alla riservatezza anche degli indagati, su cui non vanno caricate ulteriori afflizioni dovute a pubblicazione indebite. Attenzione: io sono convinto che la stampa debba sapere, perchè è una forma di controllo sull’operato dei poteri, ma non valicando il limite del lecito. Il processo è una macchina che costruisce sapere, che deve essere messo a disposizione della società: ma va veicolato il sapere elaborato nel processo, non quello grezzo della fase precedente.

Tornando ai temi su cui l’Anm dovrà esprimersi, il più divisivo e meno trattato nel suo programma è la riforma del Csm e all’ipotesi del sorteggio per sceglierne i membri. 

Si sbaglia, il programma non è vago ma prevede, come chiesto anche dagli eletti di Articolo 101, l’apertura a una discussione senza pregiudiziali. Io credo che non ci siano argomenti indiscutibili e creare tabù sia un modo per ingigantire i problemi.

Lei, però, è contrario al sorteggio, anche temperato.

Io sono fortemente contrario ed è la mia posizione personale e anche quella di Area. Però non mi sottraggo alla discussione e anzi l’Anm offrirà a breve un suo contributo al dibattito, perchè la riforma intanto sta proseguendo in commissione Giustizia.

Cosa non la convince? Sarebbe il modo per evitare dinamiche elettorali distorte.

Io vorrei un Csm attrezzato a svolgere il suo ruolo di governo autonomo della magistratura e non capisco come il caso, a cui si affida col sorteggio, possa venire in aiuto. I magistrati hanno a volte l’idea sbagliata di saper fare tutto e non è così: un magistrato può essere eccezionalmente bravo nel suo lavoro, ma l’amministrazione della giurisdizione è altra cosa. 

Anche il rapporto tra l’Anm e il Csm andrà regolato, in particolare la pratica di passare da un ruolo all’altro?

L’assemblea si è già espressa per la modifica allo statuto e per il regime delle incompatibilità. Io la ritengo una cosa utile: l’associazione è un servizio che sottrae tempo e fatica, che va fatto con generosità anche perché deve essere libero dalla ricerca di vantaggi personali. L’Anm non può essere usata per acquisire crediti personali in vista di vantaggiosi incarichi per i singoli. Se questo spirito di servizio si è perso per strada, credo che una norma sia utile a richiamarlo alla mente.

Lei rimarrà in carica per i prossimi 4 anni oppure ci sarà un rinnovamento delle cariche come è stato per la giunta precedente?

Non ci sono stati accordi in merito. Data però la pesantezza del compito che sto assumendo, non vedo con sfavore una rotazione. Anzi, visto che l’impegno è gravoso, credo sia una cosa positiva se qualcuno per strada riceverà il testimone.

Allargando lo sguardo al resto della giurisdizione, ora i rapporti con l’avvocatura e soprattutto coi penalisti sono tesi. E’ un dialogo che cercherà, quello con gli avvocati?

Io credo che sia indispensabile farlo, perchè è impensabile ragionare sul processo senza gli avvocati. Questo momento di crisi deve coinvolgere tutti nel dibattito: avvocati, magistrati e accademia. Se io ho un obiettivo, è quello di coinvolgere tutte le intelligenze e all’avvocatura io ho da chiedere non solo un dialogo, ma un aiuto concreto.

Su cosa in particolare?

Il problema più impellente è la gestione dei processi in fase di pandemia. Appena mi insedierò organizzativamente, è mia intenzione cercare di avere un dialogo stretto con l’avvocatura, in modo da cercare posizioni comuni da portare al ministro. Il Guardasigilli non deve avere il problema di temere di accontentare gli uni e scontentare gli altri: la volontà di rendere efficiente il processo e tutelare le garazie è comune. Non viviamo su fronti contrapposti e sarà mio impegno dimostrarlo.

Intanto in parlamento procedono le riforme della giustizia sia civile che penale. E’ fiducioso?

L’Anm rafforzerà le sue commissioni di studio che hanno già attenzionato i disegni di legge. Forniremo alla politica il nostro punto di osservazione che è di eccezionale importanza, senza invasioni di campo ma con la volontà di dare un contributo di idee ed esperienze. Vigileremo sui lavori, interverremo anche in modo critico, ma sempre con la volontà di costruire.

Eppure questo sembra il periodo peggiore per le grandi riforme di sistema.

I tempi delle grandi riforme monumentali non sono i nostri, non mi aspetto dalla politica di questo periodo la riscrittura dei codici in termini rivoluzionari, per cui occorrerebbero altre condizioni politiche. Il processo penale è un cantiere aperto da anni, ma non è detto che sia un male: noi magistrati in quel cantiere lavoriamo e lavoreremo, con l’obiettivo di risolvere più criticità possibili. Dovremo accontentarci dei piccoli passi, ma con l’obiettivo di arrivare lontano.

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