Da alcuni anni si esplorano e si sperimentano in maniera sempre più frenetica le connessioni tra intelligenza artificiale e processo. Più di recente, si è tornati a fare frequente uso del termine robot, quale espressione della macchina non più solo servente (secondo l’idea di K. Čapek), ma appunto soprattutto intelligente. E alla robotica si guarda (oltre che come branca della meccatronica, anche) come attributo di una possibile forma di erogazione del servizio giustizia.

Attualmente l’intelligenza artificiale è applicata al processo in maniera molto proficua: banche dati per la ricerca giurisprudenziale, programmi di gestione dell’udienza, sistemi esperti in tema di ammissione e valutazione della prova o di esperimento dell’esecuzione forzata, e molto altro ancora. Si tratta di ausili o metodi integrativi, che non sono in grado né hanno la pretesa di sostituire l’uomo.

Tuttavia, molti auspicano e, anzi, predicano il ricorso alla decisione robotica, che altro non significa se non che l’esito del giudizio può essere affidato a una macchina intelligente.

Ciò non scandalizza del tutto con riferimento alla definizione delle cause ripetitive, semplici e di modesta entità (v. quanto già accade in Estonia), ma induce a riflettere alquanto quando si considera l’attività di accertamento dei fatti e di valutazione delle prove nelle controversie oggettivamente e soggettivamente complesse, dove la selezione dei valori, che è implicita in qualsivoglia apprezzamento e decisione, si fa più delicata.

Se è vero che il robot applica algoritmi per risolvere problemi, non è del tutto vero che lo faccia senza che a monte sia stata operata una scelta. Anche l’“azione” e la “decisione robotica”, infatti, presuppongono necessariamente l’esercizio di opzioni di valore e/o interesse da parte di chi ha programmato e istruito la macchina. Insomma, dietro il robot vi è sempre l’uomo.

Si tratta di capire, in altri termini, se, ammessa la possibilità di concepire e realizzare un sistema di intelligenza artificiale integralmente sostitutivo dell’essere umano, sia questa la direzione nella quale si desidera incanalare la giustizia.

Per far questo occorre tenere conto di pericoli, illusioni, ostacoli e benefici.

I pericoli

L’uso della macchina per risolvere questioni processuali (dalla verifica delle condizioni di accesso alla giurisdizione, alla valutazione dei fatti e delle prove, alla formulazione del giudizio) richiede la previa individuazione di criteri per l’inserimento dei dati nel sistema, l’esercizio di scelte, il sovente ricorso a elementi estranei al diritto (ad esempio e non tanto per assurdo, razza, colore della pelle, provenienza geografica). Tutto ciò porta con sé il rischio della “profilazione” dei giudici, degli avvocati e delle parti.

C’è poi il possibile pericolo dell’auto-profezia: il giudice, per rendere le decisioni, utilizza la “predizione” dell’algoritmo, sicché la predizione stessa diventa la decisione.

Il processo è soprattutto analisi, ricostruzione e valutazione dei fatti. Come già detto, esso ha ad oggetto vicende umane irripetibili, poiché ogni caso è diverso dall’altro. E’ del tutto illusorio, quindi, pensare che sia possibile profetizzare l’esito del processo attraverso una più o meno complessa formula matematica applicata alla interpretazione della legge.

Gli ostacoli

La piena automatizzazione del processo e del verdetto non è compatibile con l’esercizio del diritto alla prova: non è possibile sempre pre-dire la decisione poiché non è possibile pre-dire sempre l’esito dei mezzi istruttori richiesti.

Inoltre, essa annulla l’esercizio del prudente apprezzamento da parte del giudice.

Ancora, non permette di stabilire ex ante quale contenuto si debba dare, rispetto alla fattispecie concreta di volta in volta sottoposta all’esame del giudice, alle norme c.d. elastiche e a quelle contenenti clausole generali o concetti indeterminati. In queste ipotesi, è assolutamente necessario l’intervento discrezionale del giudice-uomo.

Infine, non è praticabile allorquando si tratti di fare ricorso al giudizio equitativo, per il quale il giudice, pur non essendo autorizzato a prescindere dalla fattispecie legale astratta, è comunque chiamato ad adottare la decisione più conforme alla giustizia del caso concreto.

Le perplessità sinora espresse riguardano soprattutto il momento valutativo e decisorio. Concentriamoci ora sui benefici, che però sembrano attenere a profili diversi.

In primo luogo, un sistema che si avvalga di strumenti e modelli di intelligenza artificiale promuove trasparenza e individua responsabilità. Per questo motivo, risponde ad una logica altamente democratica. La Commissione Europea per l’Efficienza della Giustizia (CEPEJ) si mostra particolarmente sensibile a questi temi e riconosce l’importanza dei risvolti di natura etica connessi all’uso delle tecnologie nel settore giustizia.

In secondo luogo, promuove sviluppo e uguaglianza (v. anche l’obiettivo 16, Pace, giustizia e istituzioni solide, dell’Agenda 2030, delle Nazioni Unite), sotto gli specifici profili della garanzia di accesso per tutti alla giustizia e di un pubblico accesso all’informazione, ferma restando la protezione delle libertà fondamentali.

In terzo luogo, può assicurare vantaggi in termini di deflazionamento del contenzioso. Infatti, quanto maggiore è la previa conoscenza dei dati incidenti sul possibile esito del processo, tanto più cauto è l’accesso alle corti e tanto più ponderata la ricerca di soluzioni stragiudiziali.

In quarto luogo, tende ad assicurare efficacia, efficienza e celerità. L’avvento del processo telematico (civile, amministrativo, contabile) e l’utilizzo, in sede esecutiva, di istituti quali la ricerca telematica dei beni da pignorare e la vendita forzata telematica, stanno a testimoniarlo.

In quinto luogo, permette di elaborare soluzioni rapidissime con un certo grado di attendibilità sulla base dell’analisi di milioni di elementi. Nessun soggetto coinvolto nel processo se ne potrebbe lamentare: né l’avvocato, né gli ausiliari del giudice, né il giudice stesso. Non se ne potrebbero lamentare gli utenti del servizio giustizia. Si riducono i costi e i tempi, si aumenta il livello di certezza e di stabilità dell’ordinamento.

La giurisprudenza

Giuristi e filosofi del diritto da tempo si affannano sul seguente interrogativo: se alla giurisprudenza possa essere riconosciuto un ruolo creativo in senso stretto del diritto e se la creazione del diritto da parte della giurisprudenza costituisca un attentato al bene primario della certezza del diritto e al principio di legalità (art. 101, 2° comma, Cost.).

L’operatività di un sistema che consenta la prevedibilità delle decisioni e valorizzi l’efficacia, non solo persuasiva, del “precedente giudiziale”, rasserena l’animo di chi è convinto della irrinunciabilità di quel bene e di quel principio in un ordinamento che si professa come espressione dello Stato di diritto.

D’altra parte, il “diritto giurisprudenziale” non è statico, anzi nelle aule giudiziarie costantemente “prende vita”. La legge è generale e astratta, ma i fatti che sono alla base della vicenda umana portata in giudizio sono concreti e indefinitamente mutevoli, come lo è il contesto di riferimento.

Le due proposizioni non sono in contraddizione reciproca.

Se è vero che la giurisprudenza fa il diritto, non lo crea, è anche vero che la mutevolezza interpretativa non viola il principio di legalità e rappresenta un bene altrettanto primario. E tuttavia, il “diritto vivente” non è capriccioso. Al contrario, soddisfa l’esigenza di continuità interpretativa e di affidamento attraverso l’uniformità giurisprudenziale.

Questi temi sono strettamente connessi a quello delle applicazioni dell’intelligenza artificiale al processo. Il robot può rappresentare uno strumento per pre-vedere e addirittura pre-dire l’esito di una controversia. A questo proposito, si parla di “giustizia prevedibile” e anche di “giustizia predittiva”. Tuttavia, occorre intendersi.

Predittività e prevedibilità

Cominciamo subito col dire che predittività e prevedibilità non sono due entità aliene l’una rispetto all’altra, ma sono aspetti o declinazioni della medesima esigenza di certezza del diritto, che puntano alla razionalizzazione dell’attività giurisdizionale attraverso il metodo statistico e probabilistico.

A partire dagli studi sulla c.d. giurimetria (Loevinger) e dalle indagini sulle utilità che possono scaturire dall’utilizzo di computer e algoritmi nella ricerca scientifica giuridica e dalla loro applicazione al processo (Lawlor), si è cercato di stabilire un metodo di analisi per ottenere l’anticipazione dell’esito delle decisioni.

Negli USA la predictive justice ha preso piede con riferimento all’ambito della giustizia penale (v. il caso di Eric Loomis) ed è intervenuta in funzione di supporto all’attività dei giudici, di fatto favorendo la società privata proprietaria del programma di elaborazione dei dati.

In Francia la giustizia predittiva, che ha fatto ingresso in maniera rumorosa e altisonante con l’introduzione della legge 2016-1321 (c.d. “legge per la Repubblica digitale”, modificata nel 2019 e implementata nel 2020 attraverso la sperimentazione per due anni di un sistema di raccolta automatizzato, denominato «DataJust») e l’istituzione della piattaforma online predictice.com, si è presentata come supporto dell’attività degli avvocati, favorendo il successo delle società specializzate in legaltech e delle società assicurative.

E’ un calcolo aritmetico?

Ciò detto, va chiarito che certezza e prevedibilità del diritto (giurisprudenziale) non significano aritmetica calcolabilità.

Il giudice non è puro strumento di applicazione meccanica del contenuto della legge: egli ne è l’interprete. E interpretare significa esplicare, adattare, completare (Pacchioni, 1912). Il giudizio non è solo fredda sussunzione. Affinché questa sia possibile e da essa scaturisca l’effetto, è necessario che i fatti siano accertati. E poiché i fatti sono incalcolabili e gli esiti istruttori non sempre prevedibili (soprattutto se fondati su prove costituende), nessuno spazio per una precisa calcolabilità è predicabile.

Inoltre, continuità e uniformità interpretativa non comportano fissità e immobilismo.

Invero, non c’è nulla di contraddittorio nel propugnare la validità di un sistema fondato sul rispetto dei precedenti e nell’ammettere la libertà di ciascun giudice di discostarsi da essi. Il rispetto dei precedenti non impedisce il dissenso, anzi lo nobilita, poiché impone che lo si esprima motivatamente.

Insomma, l’aspirazione per una prevedibilità o predittività completamente robotizzata non va oltremodo enfatizzata. Piuttosto, è auspicabile che si continui a dibattere sui modi per potenziare la prevedibilità delle decisioni in vista dell’uniformità della giurisprudenza, avvalendosi certamente per questa finalità dell’ausilio delle macchine, ma limitando questo ausilio alla circolazione e alla diffusione delle informazioni.

In questa direzione si muovono i progetti sviluppati dalle Corti di appello di Brescia, Venezia e Bari in collaborazione con le Università in tema di giustizia predittiva e prevedibilità della giurisprudenza e dalla Corte d’appello di Bari in tema di prevedibilità e strumenti conciliativi, nonché il “Libro Bianco per la giustizia e il suo futuro” Giustizia 2030, elaborato da un gruppo di operatori ed esperti esterni della giustizia italiana, magistrati, dirigenti di uffici giudiziari, avvocati, docenti universitari, esperti di digitalizzazione ed esperti di organizzazione dei servizi pubblici.

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