Il femminicidio di Vicenza è l’ennesima, tragica dimostrazione di come il sistema giudiziario italiano non preveda ancora strumenti adeguati a difendere le donne. L’omicidio di Lidia Miljkovic ha avuto come antefatto proprio uno dei cortocircuiti più comuni: la mancata comunicazione tra processo civile e processo penale.

I fatti

Zlatan Vasiljevic ha ucciso l’ex moglie Lidia Miljkovic, poi ha sparato anche alla nuova compagna Gabriela Genny Serrano e infine si è suicidato. L’omicidio della ex è avvenuto dopo che la donna aveva accompagnato i due figli a scuola: vittima e assassino si erano dati un appuntamento, si ipotizza anche per discutere di questioni legali.

Il nuovo compagno della donna, Daniele Mondello, su Repubblica infatti raccontato che «tre settimane fa è stata emessa la sentenza di separazione. Stabiliva la cessazione dell’affido esclusivo dei figli di 13 e 16 a Lidia. Per ogni cosa bisognava mediare con il padre: scuola, tempo libero, medicine».

Eppure, Zlatan Vasiljevic era già stato riconosciuto come un violento. Nel 2019 era stato arrestato ad Altavilla, dove la coppia viveva, dopo che la donna lo aveva denunciato per averla ripetutamente picchiata. 

Poi nei suoi confronti era stato emesso un ordine di non avvicinamento all’ex moglie, che nel frattempo si era trasferita in un altro paese insieme ai figli. Secondo quanto risulta dagli atti penali, i maltrattamenti erano cominciati nel 2011 e avvenivano anche davanti ai due minori. Il giudice, nel disporre l’allontanamento dell’uomo, aveva elencato alcuni episodi di violenza: tra questi Vasiljevic aveva afferrato «per il collo» la moglie, e l'aveva «spinta contro il frigorifero della cucina e minacciandola con un coltello». Da ubriaco l'aveva aggredita a letto stringendole il collo «come per strangolarla».

Il giudizio finale del Gip era che «La perseveranza dimostrata dal Vasiljevic, unitamente all’abuso di alcol e alla sua incapacità o comunque alla mancanza di volontà di controllarsi pure in presenza dei figli minori, consente di ritenere altamente verosimile il verificarsi di nuovi episodi di violenza». La condanna in primo grado e le misure cautelari, però, sarebbe stata diminuita e sospesa in appello, perchè l’uomo aveva presentato una attestazione di aver frequentato un corso per recupero uomini maltrattanti. 

Il cortocircuito

Come sia stato possibile che gli sia stato comunque concesso in sede di separazione l’affido condiviso dei figli minori è tristemente spiegabile: nel 96 per cento dei casi di separazione con figli in cui sono presenti segnali di violenza domestica, i tribunali ordinari non acquisiscono gli atti penali e non ne tengono conto per decidere sull’affido. 

Il dato è stato elaborato da una recente analisi statistica svolta dalla commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio,che ha fotografato la cecità del nostro sistema giudiziario: nel 57,3 per cento dei casi, nelle verbalizzazioni dell’udienza presidenziale civile, sono presenti solo generici richiami senza approfondimenti sulle condotte di violenza domestica. Solo nel 15,6 per cento dei casi i giudici hanno approfondito le allegazioni di violenza presenti tra gli atti del fascicolo.

Questo, nel caso di Lidia Miljkovic, ha significato l’obbligo di rincontrare l’ex marito violento, che poi si è trasformato poi nel suo omicida.

Questo gap legislativo è stato colmato dalla riforma dell’ordinamento civile, approvato a fine anno scorso e di cui ora sono in corso di stesura i decreti attuativi. La riforma, infatti, prevede l’obbligo di scambio di atti tra tribunali civili e penali e strumenti di raccordo in caso di violenza sulle donne e maggiori strumenti perchè il giudice possa assumere provvedimenti nell’interesse dei minori. 

La legge che non c’è

La relazione della commissione sul femminicidio ha acceso un faro su questa zona grigia del raccordo tra sistema civile e penale e ha posto un problema sul tema del principio della bigenitorialità, nel caso in cui venga interpretato come il diritto del padre di frequentare i propri figli sempre e comunque, anche in caso di violenza domestica documentata. 

Attualmente, sono ferme al Senato due proposte di legge che dovrebbero colmare questa lacuna. Il primo è in discussione in commissione Giustizia, a firma delle tre ministre della Giustizia, Marta Cartabia, dell’Interno, Luciana Lamorgese e delle Pari opportunità, Elena Bonetti, e prevede di rafforzare le misure di prevenzione in caso di violenza domestica e nei confronti delle donne e rende obbligatorio l’ascolto del minore. Il secondo, che ha come prima firmataria la senatrice del Pd, Valeria Valente, che è anche presidente della commissione sul femminicidio, prevede invece che i padri autori di violenza domestica non siano concessi gli incontri nemmeno protetti con i figli.

Valente è intervenuta sul caso di Vicenza, dicendo che «se, come sembra, il motivo per cui si è protetta poco Lidia Miljkovic è per privilegiare i rapporti del marito Zlatan Vasiljevic con i figli, è stato fatto un grandissimo errore. Solo formazione ed esperienza specifica possono salvarci da un giudizio benevolo affrettato che può costare la vita alle
donne». 

La ministra Cartabia ha chiesto all’ispettorato di avviare approfondimenti sul femminicidio di Vicenza e su quello avvenuto a Sarzana nei giorni precedenti. Il primo passo sarà la richiesta di una relazione ai vertici degli uffici giudiziari, per capire come sia stato possibile che uomini con passati violenti siano stati lasciati nelle condizioni di nuocere ancora. 

 

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