I giuristi si misurano spesso con la «previsione» ovvero con la necessità/capacità di vedere e valutare in anticipo ciò che accadrà in futuro.

Frequentemente si ricorre all’espressione «previsione normativa». Essa viene usata come sinonimo di enunciato normativo ovvero per indicare la situazione astratta che il legislatore immagina e alla cui esistenza viene riconnesso il sorgere di determinate conseguenze.

In una prospettiva connessa si colloca la previsione dell’esito di una controversia. La sentenza segna il passaggio dalla «previsione normativa» astratta alla giustizia del singolo caso al quale quella previsione viene applicata. L’idea di un «diritto calcolabile» riposa sulla convinzione che l’esito di ogni controversia debba essere «prevedibile». Proprio tale assunto dà corpo ad uno dei pilastri della nostra civiltà giuridica: quello della «certezza del diritto». Il sistema giuridico compulsato in ordine ad un determinato problema deve fornire sempre la medesima risposta. Perché certo è solo ciò che è prevedibile.

La nuova frontiera è rappresentata dalle capacità predittive dell’intelligenza artificiale. Ci sono almeno due grandi filoni di ricerca.

Il primo attiene all’analisi e alla predisposizione automatica di atti e documenti. Un esempio è costituito da Luminance (https://www.luminance.com). Fondata da matematici dell’Università di Cambridge, Luminance ha sviluppato il Legal Inference Transformation Engine (LITE), un’applicazione dell’apprendimento automatico al mondo giuridico, che combina la tecnologia di riconoscimento dei modelli con l’apprendimento automatico supervisionato e non supervisionato per leggere e comprendere il linguaggio naturale, a velocità e in volumi ben oltre la capacità umana. Luminance consente agli avvocati di analizzare rapidamente set di documenti e contratti.

Il secondo filone è quello che attiene propriamente all’analisi predittiva. Consiste nella capacità di elaborare previsioni mediante un calcolo probabilistico effettuato da algoritmi operanti su base semplicemente statistica o su base logica.

Può essere usata per prevenire la criminalità: inserendo una serie di dati (relativi a rapine o furti verificatisi nelle stesse zone e con modalità analoghe e simili), il sistema è in grado di prevedere luoghi e orari in cui verosimilmente potranno essere commessi altri reati della stessa specie.

Ma può essere usata anche per prevedere l’esito di un giudizio. Nel 2016 è stato svolto uno studio che, grazie ai progressi nell’elaborazione del linguaggio naturale e nell’apprendimento automatico, si proponeva di costruire modelli predittivi utili a svelare gli schemi che guidano le decisioni giudiziarie. Il lavoro ha previsto l’esito dei casi analizzati dalla Corte europea dei diritti umani basandosi sul loro contenuto testuale. La previsione è riuscita nel 79 per cento dei casi.

Più di recente l’Università di Venezia e la Corte d’Appello di Venezia hanno presentato un progetto che, sulla base dell’immagazzinamento e dell’analisi di tutte le sentenze emanate in quel distretto, consentirà di prevedere ex ante gli esiti di una controversia in una determinata materia (ad esempio: il licenziamento per giusta causa).

L’analisi predittiva, più in generale, può essere usata per predire i comportamenti di tutti gli attori del sistema giuridico. Lex Machina, ad esempio, combina dati e software per creare set di dati su giudici, avvocati, parti e soggetti di cause legali, su milioni di pagine di informazioni sulle controversie. Con questi dati gli avvocati possono prevedere i comportamenti e gli esiti che produrranno le diverse possibili strategie legali.

Gli scenari avveniristici che abbiamo descritto, innescano molti problemi. La «legal analytics» si propone di predire gli esiti dei processi non già sulla base di un rigoroso (e meccanico) ragionamento giuridico (il distillato della vecchia «certezza del diritto») bensì alla luce di sofisticate analisi algoritmico/statistiche di moli enormi di dati (big data). Un conto è ipotizzare possibili orientamenti di una corte, dei giudici, degli operatori. Altra cosa è prevedere con certezza l’esito del singolo giudizio. Per ottenere questo dovremmo disporre di algoritmi in grado di governare incertezza e imprevedibilità.

Due aspetti dirimenti

Il primo lo pone l’art. 22 del Regolamento (UE) 2016/679 , relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, che riconosce il diritto di non essere sottoposti a una decisione basata unicamente su trattamenti automatizzati.

Il secondo emerge da una riflessione di Pietro Curzio rinvenibile nel suo libro dal titolo “Quasi saggio”. A pagina 23 l’attuale Presidente della Corte di Cassazione scrive: «Prudenza e ragionevolezza. Chiarezza e leggibilità. Su questi elementi si gioca la partita della decisione giusta. Che non è un dato acquisito, ma un difficilissimo punto di equilibrio, da ricercare sempre nuovamente ad ogni passo, come il trapezista sul filo. Pretendere di possederla è infausto. Pretendere di cogliere nella legge un’entità oggettiva e immodificabile è da sprovveduti. Un saggio giurista di lungo corso non può che sorriderne. In tutte le interpretazioni di un testo normativo (e non) c’è la nostra esperienza, il nostro vissuto, i nostri sbagli, la nostra cultura, ciò che abbiamo appreso ed abbiamo dimenticato, ma è rimasto al fondo del nostro essere».

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