Sulla carta, con l’ultimo provvedimento del ministero della Giustizia si sono create le premesse positive per evitare un altro blocco della giustizia come avvenuto nella fase 1 della pandemia, ma nei fatti si stanno verificando ostacoli concreti: l’interruzione dei servizi telematici e il moltiplicarsi di provvedimenti da parte dei capi degli uffici giudiziari, che sembrano ostacolare principalmente il lavoro degli avvocati.

L’avvocatura si è spesa sia sul fronte concreto, limitando all’indispensabile l’accesso agli uffici giudiziari, che su quello istituzionale, nel confronto sia con il ministero che con la magistratura. In alcuni casi ha addirittura consentito lo stravolgimento delle norme di rito, sia nel civile che nel penale, pur di non bloccare la giustizia. Si è detta favorevole all’implementazione delle modalità da remoto dotandosi, anche con fatica, di strumenti utili a farlo. L’unico limite che è stato ritenuto invalicabile, pur nella consapevolezza della difficile emergenza sanitaria, è il principio del diritto di difesa.

Il diritto di difesa

In questa direzione sono andate le richieste, già dal mese di febbraio, di misure di semplificazione e di un adeguato bilanciamento di tutela di diritto alla salute e diritto di difesa, con l’adozione di linee guida condivise con il ministero della Giustizia per contribuire al corretto funzionamento degli uffici giudiziari.

Nel corso della fase 1 dell’emergenza il Consiglio si è speso con proposte dirette a migliorare i provvedimenti in materia di sospensione delle udienze e dei termini processuali e in materia di esecuzione della pena e diritti delle persone sottoposte a misure limitative delle libertà personali. Il Cnf, inoltre, sempre nell’ottica di un corretto bilanciamento tra diritto alla salute e diritto di difesa ha approvato le linee guida per i procedimenti in materia di diritto di famiglia nella fase di emergenza.

Ogni scelta è stata intrapresa con l’obiettivo di consentire agli avvocati di assolvere alla propria funzione sociale pur garantendo il più possibile la tutela della salute. Per questo è stato chiesto al ministro Bonafede di adottare provvedimenti uniformi nei tribunali, l’estensione dell'utilizzo degli strumenti tecnologici e della pec per ridurre gli accessi alle cancellerie e incentivi fiscali per favorire il ricorso alle procedure alternative alla giurisdizione.

Eppure, anche a fronte di uno sforzo della categoria, i disservizi stanno penalizzando e umiliando la figura e la funzione sociale dell’avvocato.

Il servizio telematico interrotto

L’ultimo e più grave è quello che si è riscontrato a partire dal 10 novembre e che ha interrotto totalmente il servizio telematico della giustizia civile dei distretti di Napoli, Catanzaro, Reggio Calabria, Salerno, Potenza, Campobasso, Bari e Lecce.

Per comprendere la gravità, basti specificare che il deposito telematico costituisce fino al 31 dicembre 2020, l’unica modalità prevista dalla normativa, mentre il deposito cartaceo deve essere espressamente autorizzato. Oltretutto l’attuale situazione epidemiologica del Paese, le conseguenti restrizioni alla mobilità e all’accesso agli uffici giudiziari che vedono la maggior parte del personale in lavoro agile, nonché il divieto di assembramento, rendono particolarmente complesso procedervi. Di conseguenza una interruzione di questo tipo paralizza completamente il lavoro dei difensori e nuoce ai diritti dei loro assistiti. 

Per far fronte a questa condizione diffusa, non è possibile rispondere con l’empirica soluzione della concessione da parte del singolo magistrato della rimessione in termini di cui all’art. 153, c.2 c.p.c.. Per ora, tuttavia, così è successo e i capi degli uffici giudiziari si sono orientati nei modi più vari per far fronte al grave disservizio.

Per portare degli esempi, alcuni hanno autorizzato il deposito cartaceo soltanto per taluni procedimenti (Tribunale di Trani), altri si sono limitati a “rassicurare” l’utenza (Tribunale di Lecce), altri ancora hanno autorizzato  modalità diverse di deposito (Tribunale di Catanzaro), altri invitato i singoli magistrati a valutare la  circostanza in sede di decisione (Tribunale di Napoli, Corte di Appello di Napoli), infine molti uffici nulla hanno disposto. Taluni giudici, poi – nonostante gli inviti rivolti loro dai Presidenti - hanno  considerato il mancato deposito delle note scritte di trattazione alla stregua della mancata comparizione  all’udienza rilevante ai sensi dell’art. 309 c.p.c. ex art. 221, d.l. n. 34/2020 come convertito in l. n.  77/2020 (Nola).

Una soluzione per tutti

La soluzione idonea sarebbe quella prevista dal d.lgs. n. 437/1948 relativa alla «Proroga dei termini di decadenza in conseguenza del mancato funzionamento degli uffici giudiziari» disposta con decreto del ministero della Giustizia. Si tratta di strumento di carattere generale in base al quale «i termini di decadenza per il compimento di atti presso gli uffici giudiziari scadenti durante il periodo di mancato  o irregolare funzionamento, o nei cinque giorni successivi, sono prorogati di quindici giorni, a decorrere dal giorno in cui è pubblicato».

Questa soluzione, che il Consiglio nazionale forense ha sottoposto al ministro, consente il vantaggio di evitare valutazioni, caso per caso, relative alla riconoscibilità – per altro pressoché naturale, data la situazione di fatto come certificata dal portale dei servizi telematici – della rimessione in termini prescritta dall’art. 153  c.p.c., con sicuro beneficio a livello di tempi processuali e uniformità delle decisioni. Riscontri, però, ancora sono arrivati da parte del Ministero.

Un dato, tuttavia, è evidente. Per far fronte all’attuale contesto pandemico e continuare a garantire il corretto svolgimento della giustizia in una situazione difficile per tutti – avvocati, magistrati e personale amministrativo – è fondamentale che la struttura telematica sia un ausilio e non l’ennesimo inconveniente, ma soprattutto che non scoppino guerre di religione all’interno della giurisdizione.

L’emergenza è unica e investe per intero il settore della giustizia, mettendo tragicamente in evidenza tutti i problemi che provengono dal passato e creandone di nuovi, non tutti immediatamente risolvibili.

Per affrontarli serve un approccio laico. L’avvocatura non vuole fare la guerra ai magistrati o al personale amministrativo per conquistare l’accesso al tribunale: è un nostro diritto, ma è anche interesse nostro potervi accedere in sicurezza. Per questo sono necessarie misure condivise da tutti, ma che tengano in considerazione le diverse funzioni dei soggetti della giurisdizione e tutti gli interessi da tutelare. L’equilibrio si può trovare, nel rispetto reciproco, perchè l’obiettivo è il medesimo: dare giustizia garantendo la salute di tutti.

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