Oltre ai temi di diritto sostanziale, già qui affrontati da Bruno De Filippis, che ha indicato quali siano le aree di necessario intervento per rendere il sistema del diritto delle persone e delle relazioni familiari adeguato alla mutata realtà sociale, urgono ulteriori temi di diritto processuale di pari rilevanza.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha infatti sottolineato come il rispetto dell’art. 8 della Convenzione EDU (Diritto alla vita privata e familiare) richieda il rispetto  dell’art. 6 (Diritto all’equo processo). L’effettività dei diritti delle persone nelle relazioni familiari deve essere garantita dalla  fairness del relativo processo.

E invece arretratezza e inadeguatezza del nostro sistema sono evidenti. Tre le tipologie di problemi:  “polverizzazione” dei riti, inadeguatezza e varietà della loro disciplina, frazionamento delle competenze tra più giudici diversamente composti.

L’insieme di questi fattori comporta spesso violazione di diritti fondamentali di quelle persone vulnerabili cui è (o meglio dovrebbe) primariamente volta la tutela del sistema e si può tradurre in “giustizia negata”.

Polverizzazione dei riti

Vi è una miriade di riti della famiglia: oltre a più noti riti di separazione e divorzio,e relative modifiche, vi è il rito camerale “corretto” dall’art. 336 c.c. dei procedimenti de potestate, quello speciale di adottabilità,  altri disciplinati dal codice civile (il solo art. 250 c.c. ne contiene due: autorizzazione al secondo riconoscimento -IV co.- e autorizzazione al riconoscimento del figlio infrasedicenne - ultimo co.-; riconoscimento del cd. figlio incestuoso; tutela della relazione del diritto dei minori con gli ascendenti (317 bis c.c.; tutela del diritto al mantenimento del figlio non riconoscibile (art. 279 c.c.); riconoscimento degli alimenti e molti altri ancora (316 c.c., 316 bis. C.c., 144 c.c., 145, cc., etc. etc.).

A tacer delle cosiddette azioni di stato personale, disciplinate tutte dal cd. rito ordinario, ma poi con differenziazioni relative alla legittimazione attiva e passiva, come se il thema decidendum non fosse in definitiva uno: accertamento (positivo o negativo) della filiazione rispetto a due (sedicenti o meno) genitori. Sopravvive un mostro di incostituzionalità quale è il procedimento ex art. 403 c.c., in cui l’autorità amministrativa può allontanare un minore dai suoi genitori senza nemmeno immediato controllo successivo dell’Autorità giudiziaria. E ancora a tutela degli incapaci sopravvivono due moloch come interdizione e inabilitazione, istituti rigidi, che non tengono conto delle mille sfumature dell’incapacità personale e della necessità di preservare sempre e comunque la dignità della persona con problematiche fisiche, psichiche o cognitive.

Il benemerito istituto dell’amministratore di sostegno, è disciplinato sul piano processuale da norme proprie, che però negli anni hanno anche dimostrato la necessità di un restyling non marginale, dando anche più spazio alle necessità e alla voce del beneficiario. Per non parlare di un istituto delicatissimo in un Paese afflitto da femminicidi come ordini di protezione ex art. 342 bos e ter c.c. e altri ancora.

Tutto ciò (brevemente e lacunosamente descritto) comporta che non vi sia la possibilità di riunire le azioni, anche quando, simultaneamente pendenti, riguardino la stessa persona o lo stesso nucleo familiare e le stesse vicende.

Emblematico è quanto succede in caso di violenza di genere o domestica: la vittima può presentare denuncia querela in sede penale; se vi sono figli minori può promuovere (o sarà promossa dal pm se questi avrà avuto notizia della violenza assistita) procedimento per la decadenza o limitazione della responsabilità dell’autore di violenza in sede minorile; se intende cautelarsi subito anche sul piano civilistico può richiedere gli ordini di protezione disciplinati dagli artt. 342 bis e ter c.c.; la vittima se coniugata può richiedere la separazione giudiziale, all’interno del cui giudizio saranno disciplinati anche i diritti a mantenimento, affidamento dei figli minorenni (e connessa assegnazione della casa familiare).

Se invece si tratta di famiglia non coniugale, i diritti dei figli dovranno essere tutelati in apposito procedimento dinanzi al Tribunale ordinario (camerale se minori; ordinario se maggiorenni) non disciplinato da una normativa apposita, e poi il partner avente diritto con rito ordinario dovrà richiedere gli alimenti per sé. Potrà inoltre richiedere il risarcimento del danno non patrimoniale semòpre con rito ordinario. Quanti procedimenti, tempi, spese per la tutela dei diritti fondamentali di soggetti vulnerabili quali le vittima di violenza e i suoi figli?

Inadeguatezza delle norme processuali

I vari procedimenti di famiglia, la cui scansione unificante dovrebbe essere la celerità del giudizio e la centralità della tutela dei diritti del soggetto vulnerabile nel pieno rispetto dei principi costituzionali di terzietà del giudice, contraddittorio e diritto di difesa, soffrono anche di inadeguatezza delle norme che li disciplinano. Quelli di separazione e divorzio conoscono una serie di atti prima di “partire” la cui funzione è sostanzialmente quella di circoscrivere il perimetro del giudizio: ricorso, memoria integrativa o memoria di costituzione, memorie ex art. 183, VI comma, nn. 1.

E intanto però la vita ha modificato la situazione, le prove articolate forse non sono più attuali, il sistema delle preclusioni (in I grado) stride con la possibilità di introdurre nuove prove in appello (e meno male che dopo anni si possono introdurre perché la situazione si è nel frattempo modificata). Il rito camerale dei procedimenti ex artt. 330 e sgg. pure rafforzato nei procedimenti de potestate dalle previsioni dell’art. 336 c.c. è comunque insufficiente a garantire il contraddittorio e il diritto di difesa dei protagonisti (in particolare del minore).

Necessario un unico rito di famiglia, con una prima fase latamente cautelare al termine della quale siano assunti  provvedimenti provvisori urgenti (reclamabili al collegio e modificabili anche dallo stesso giudice al mutare della situazione), e istruttoria immune da preclusioni e decadenze in procedimenti che decidono de futuro e riguardano realtà in permanente divenire. Provvedimenti definitivi reclamabili e, quelli assunti in II grado, ricorribili in cassazione. Piena tutela del contraddittorio e dei diritti di difesa di tutti i soggetti coinvolti, prima di tutti la persona di età minore (o altro soggetto vulnerabile) se in conflitto di interessi con il suo rappresentante. Una riforma che attuasse la reductio ad unitatem del processo di famiglia, non solo sarebbe a costo zero, ma comporterebbe di per sé deflazione dei procedimenti, risparmi per l’erario e, soprattutto, per le persone coinvolte, costrette a rinunciare alla tutela dei propri diritti per l’irragionevolezza di un sistema che le costringe a una pletora di procedimenti per tutelare i propri diritti.

Frammentazione delle competenze

Altro tema cruciale è quello che vede le competenze suddivise (peraltro in modo confuso dall’art. 38 disp. att. c.c.) tra giudice ordinario (per di più per alcune materie in composizione collegiale, per altre monocratica: Giudice Tutelare), più prossimo ma non sempre specializzato e Tribunale per i minorenni, distrettuale, la cui specializzazione è assicurata da una composizione del collegio che prevede il (necessario per la materia minorile. Ma non solo) apporto di esperti in quelle scienze che utili per l’individuazione corretta del the best interest of the child che costituisce, per plurime sentenze della Consulta oltre che per il diritto pattizio, criterio preminente e determinante di giudizio nei procedimenti che riguardano persone di età minore.

Un riordino delle competenze con concentrazione delle competenze esclusivamente davanti a un unico giudice prossimo, specializzato, con magistrati sia in sede requirente sia in sede giudicante adibiti esclusivamente alle funzioni, riporterebbe a ragionevolezza il sistema, evitando contrasto di decisioni, tempi e costi inutili per persone, famiglie ed erario.

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