Il governo ha già detto che non tornerà indietro sulla separazione delle carriere. Le toghe non accetteranno compromessi. E sono pronte a lavorare per il No
I più drastici, tra le toghe progressiste, sono trancianti: «É tutto un bluff». I più dialoganti, tra i moderati, si limitano a un prudente: «Ascoltare è correttezza istituzionale». La sensazione, alla vigilia dell’incontro di mercoledì 5 marzo sulla riforma della separazione delle carriere tra l’Associazione nazionale magistrati e la premier Giorgia Meloni con il guardasigilli Carlo Nordio, è che l’esito sarà un nulla di fatto.
O meglio, che si tratti di un passaggio necessario in cui entrambe le parti certificheranno la distanza delle rispettive posizioni. Per guardare poi oltre: il governo all’approvazione della riforma costituzionale così com’è stata già approvata in prima lettura alla Camera; l’Anm alla mobilitazione dell’opinione pubblica in vista del referendum, dopo aver testato la condivisione interna del no grazie allo sciopero con l’80 per cento di partecipazione.
Il governo
Del resto, la posizione di tutta la maggioranza di centrodestra è granitica, come ha certificato anche il ministro Nordio. Il testo costituzionale già approvato non si tocca e la separazione delle carriere è l’obiettivo chiaro e conclamato.
Margine di discussione, tuttavia, c’è sulle leggi ordinarie che daranno applicazione alla riforma. Nello specifico, nella parte che riguarda il sorteggio per i membri laici e togati dei due futuri Consigli superiori e dell’Alta corte disciplinare.
Si potrà dunque ragionare di “temperare” il sorteggio inserendo dei paletti sui profili tra cui sorteggiare, riducendo così la platea e garantendo se non la rappresentanza almeno un curriculum specchiato e il rispetto del genere. Questa è la linea soprattutto di Fratelli d’Italia, che negli ultimi giorni ha moderato i toni delle dichiarazioni (e anche Nordio, in viaggio in sud America, ha scelto il silenzio stampa sul tema) e Forza Italia sarebbe d’accordo.
Tuttavia l’apertura almeno formale nei confronti delle toghe è in gran parte giustificata dalla moral suasion esercitata dal Quirinale, sempre attento al dialogo tra istituzioni e presidente del Csm, cui si è aggiunta la volontà di Meloni di un abbassamento dei toni. Troppi, attualmente, sono i fronti aperti intorno a lei e – dopo l’affondo nei confronti delle toghe dopo le sentenze sui migranti e la condanna al sottosegretario Andrea Delmastro – ora ha preferito una dimostrazione di apertura.
Anche perché, viene spiegato, la strategia è quella di isolare le toghe più politicizzate, come del resto fatto in tutti gli interventi pubblici, tentando di far passare il messaggio che la riforma non sia «contro la magistratura», ma un modo per limitare lo strapotere delle correnti.
Le toghe
Dal canto suo l’Anm è in fase di riorganizzazione dopo l’elezione della nuova Giunta ma per ora l’unità interna regge. Tutti i gruppi – dai progressisti di Magistratura democratica ai conservatori di Magistratura indipendente che hanno espresso il presidente Cesare Parodi – sono uniti intorno al no alla riforma, come emerso dal deliberato dell’assemblea straordinaria di dicembre.
Nonostante la moderazione del presidente e il suo tentativo di non attaccare in modo frontale il governo, quel che emerge da fonti interne a tutti i gruppi è che un margine di contrattazione non ci sia. «Non è immaginabile nessun baratto tra sorteggio temperato e separazione delle carriere con due Csm», è il ragionamento interno di Unicost.
Lo stesso vale per Area, che si rispecchia nella posizione espressa dal segretario dell’Anm Rocco Maruotti, secondo cui è sostanzialmente impossibile che al comitato direttivo centrale «si formi una maggioranza di possibile apertura di fronte alle proposte del governo». Maruotti e Parodi, in questo momento, sembrano dividersi i ruoli: il primo con toni duri, il secondo più conciliante. Una dinamica da «poliziotto buono, poliziotto cattivo», viene descritta scherzosamente all’interno, anche se viene garantita la sinergia tra i due.
Per tutti i gruppi esiste un punto fermo comunque, rappresentato dal deliberato dell’assemblea del 15 dicembre, in cui l’unico margine di dialogo con il governo si aprirebbe in caso di sostanziale rivisitazione dell’impianto della riforma nella sua complessità. Senza una disponibilità di questo tipo, l’incontro è solo una formalità in cui la partecipazione è d’obbligo ma l’esito scontato.
Del resto le toghe sanno bene che una riapertura del testo costituzionale è impensabile perché una modifica anche minima costringerebbe al ritorno alla Camera che, politicamente, significherebbe una sconfessione di Nordio e, praticamente, il rischio di non approvare il testo entro la fine della legislatura.
Per questo tutti i gruppi stanno iniziando a ragionare all’altro pezzo del deliberato del 15 dicembre, che contiene la costituzione del comitato per il no (per ora congelato, in attesa dell’approvazione in Senato del testo) alla riforma, in vista del referendum costituzionale.
Un referendum senza quorum, su cui peseranno due fattori: il livello di popolarità del governo nella fase politica in cui si svolgerà e la certezza che diventerà un quesito soprattutto su Meloni agli sgoccioli del suo mandato.
L’obiettivo dei gruppi è quello di costituire un comitato con nomi di spessore anche esterni alla magistratura, che possa fare da traino popolare per il voto contrario senza lasciare che il tema diventi solo un argomento politico in mano ai partiti di opposizione in ottica anti-meloniana. La sensazione, emersa anche durante le assemblee tenute nella giornata dello sciopero del 27 febbraio, è che l’Anm debba fare un salto di qualità anche comunicativo per coinvolgere la cittadinanza e non solo gli addetti ai lavori. Operazione non facile in una fase in cui le toghe – secondo il sondaggio di Demos per Repubblica – è considerata «politicizzata» dal 54 per cento degli intervistati.
Il percorso è ancora lungo, tuttavia, e molte sono le variabili anche intorno al consenso del governo Meloni. Intanto mercoledì 5 marzo la premier e il guardasigilli incontreranno alle 11 del mattino l’Unione camere penali, promotori da sempre e in prima linea anche ora nella battaglia per la separazione delle carriere tra giudici e pm. Solo dopo, alle 15.30, toccherà all’Anm. Penalisti prima e magistrati poi: un segnale eloquente soprattutto peri secondi.
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