Portare la storia in un’aula di giustizia è operazione delicata e il rischio è quello di giungere sempre a soluzioni imperfette.

Di questo si è discusso a Villa Vigoni, il centro italo-tedesco per il dialogo europeo che si trova sul lago di Como, in una tre giorni di convegno organizzato dal Max Planck Institute, l’Università di Lille e l’Università di Torino, dal titolo: «Il futuro dei rimedi contro l’immunità: vie d’uscita allo stallo tra Italia e Germania».

Al centro del dibattito, cui hanno partecipato giuristi sia italiani che tedeschi ma anche studiosi di altre materie collegate, c’è stato un interrogativo: se e come è possibile ancora oggi offrire un risarcimento alle vittime delle stragi compiute dal Terzo Reich in Italia tra il 1939 e il 1945.

La questione è annosa e interseca vari livelli: tribunali, Consulta e la Corte di giustizia europea.

La vicenda giuridica

Ad aprire il vaso di Pandora è stata la sentenza 238 del 2014 della Corte costituzionale italiana che ha deciso una questione sollevata da diversi tribunali italiani, in cui vittime di deportazioni compiute dai tedeschi su suolo italiano chiedevano di ottenere un risarcimento del danno da parte della Repubblica federale tedesca. La Repubblica federale, costituitasi in quei giudizi, aveva sollevato il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana e per questo la questione era arrivata davanti alla Consulta, chiamata a decidere sulla compatibilità costituzionale in questo caso della norma consuetudinaria di diritto internazionale, che stabilisce l’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati.

In questa sentenza, storica nei suoi contenuti ma anche foriera di altrettante questioni sia sul piano della diplomazia internazionale che degli effetti, la Corte ha stabilito che l’immunità dalla giurisdizione civile per lo Stato non sussista «in relazione ad azioni risarcitorie di danni prodotti da atti che siano configurabili quali crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona, anche ove posti in essere dalle forze armate dello Stato sul territorio dello Stato del foro». Dunque negare la possibilità di procedere a una «causa civile di risarcimento del danno per crimini contro l’umanità» si pone «in contrasto con il principio fondamentale della tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali assicurata dalla Costituzione».

L’effetto della sentenza è stato dirompente. I giudici italiani, nel tentativo di dare esecuzione alle sentenze di condanna della Germania, hanno pignorato per esempio alcuni crediti che le ferrovie tedesche Deutsche Bahn (partecipate al 100 per cento dallo Stato tedesco) vantavano nei confronti di Trenitalia e anche diversi beni di proprietà della Germania a Roma, come l’Istituto Archeologico Tedesco, il Goethe Institut, l’Istituto Storico Tedesco e la Scuola Germanica.

L’effetto è stato quello di un nuovo giudizio, attivato dalla Germania davanti alla Corte internazionale di Giustizia, per chiedere che venga riconosciuta l’immunità tedesca rispetto ai giudici italiani.

Al fine di fermare questo effetto a cascata è intervenuto nel 2022 il governo italiano, allora presieduto da Mario Draghi e con l’ex giudice costituzionale Marta Cartabia come ministra della Giustizia. Due le tensioni da risolvere: da una parte la pretesa di vittime di crimini contro l’umanità di ottenere un ristoro; dall’altra i rapporti diplomatici e in particolare l’accordo di Bonn tra Repubblica italiana e Repubblica federale di Germania del 1961, che conteneva una clausola liberatoria secondo cui tutte le questioni tra i due paesi si chiudevano con il pagamento di 40 milioni di marchi.

La soluzione trovata è stata inserita nell’articolo 43 del decreto legge 36/2022, che ha creato il cosiddetto “fondo ristori”: un fondo interamente finanziato dall’Italia come ristoro per i danni subiti dalle vittime di crimini di guerra compiuti tra il 1939 e il 1945, come rimedio per equivalente all’esecuzione sui beni tedeschi. 

Proprio la Corte costituzionale - in una pronuncia del 2023 legata al giudizio di esecuzione sul pignoramento degli edifici tedeschi a Roma - ha rigettato la richiesta di dichiarare incostituzionale il fondo, stabilendo che questo abbia soddisfatto l’esigenza «peculiare e speciale» di dare un ristoro alle vittime, che possono vantare un diritto individuale al risarcimento come stabilito dalla sentenza del 2014.

La Corte, pur non sconfessando la sua precedente decisione, ha dichiarato costituzionale il fondo, da considerarsi «disposizione speciale e radicale» per dare continuità all’Accordo di Bonn e «chiudere in modo definitivo ogni questione». Insomma, il fondo sarebbe un «non irragionevole bilanciamento» tra il principio della tutela dei diritti delle vittime e gli obblighi internazionali.

ANSA

I problemi ancora aperti

Eppure – e questo è stato il cuore del convegno di Villa Vigoni – la questione è rimasta una matrioska di problemi giuridici: appena risolto un livello, se ne aprono altri.

Come hanno argomentato i costituzionalisti sia italiani che tedeschi, il fondo va guardato da vari punti di vista. Può essere considerato una buona soluzione dal punto di vista politico, perché ha permesso all’Italia di dare ristoro alle sue vittime facendo comunque salvi i suoi rapporti internazionali con la Germania: «Pagare per preservare la pace», è stato il riassunto. 

Giuridicamente, però, ha sollevato problemi. Uno tra tutti, la sostenibilità finanziaria visto che al fondo erano stati assegnati 60 milioni di euro che sono già stati rimpinguati una volta, ma l’ammontare ipotizzato per le oltre mille cause ancora pendenti è di 800 milioni di euro. Il secondo ma non meno rilevante: l’ammontare del risarcimento individuale è variabile a seconda del giudice, con una forbice molto ampia e nessun paletto che fissi i principi sulla base dei quali stabilire la cifra, a partire dal grado di parentela con le vittime visto che ormai la maggior parte dei sopravvissuti sono morti.

Terza questione: si è posto il problema delle vittime greche dei crimini del Terzo Reich, che hanno chiesto di accedere al fondo italiano. 

Su questo aspetto ora pende il giudizio della Corte di Cassazione, che stabilirà se le pretese greche sul fondo italiano siano legittime o se la legge italiana precluda l’esecuzione delle sentenze straniere.

Su tutte, però, spicca una questione più storico-politica che giuridica: il fondo, infatti, fa salva la Germania da qualsiasi pretesa delle vittime italiane, che vengono risarcite dal loro paese per sofferenze inflitte da un altro.

Possibili soluzioni

Sulle possibili soluzioni si è incentrato il dibattito dell’ultimo giorno di convegno, alla presenza tra gli altri del professore tedesco ed ex giudice della Corte di giustizia internazionale Bruno Simma e del giudice della Corte europea dei diritti dell'uomo Raffaele Sabato.

Simma ha affrontato in modo netto quello che lui stesso ha definito «l’elefante nella stanza», ovvero il ruolo ad oggi inesistente della Germania: ha riflettuto sulla necessità di «un atto di generosità della Germania», sottolineando la meraviglia quando l’Italia ha creato il “fondo ristori”. Tuttavia, ha chiarito come non esiste una traduzione giuridica di questo concetto: se la Germania aprisse anche un solo spiraglio, non ci sarebbero solo le vittime italiane a cui dare ristoro, ma si aprirebbero analoghe questioni con Grecia e soprattutto Polonia. 

Sabato ha sottolineato come anche la questione sul principio di immunità sollevi molti interrogativi anche in vista delle future controversie, a partire da quella della guerra in Ucraina.

Unica sintesi possibile, tuttavia, è stata trovata fuori dal dibattito giuridico: cercare risposta allo scempio della Seconda guerra mondiale attraverso un tribunale non sarà mai pienamente soddisfacente. L’obiettivo, a distanza di cinquant’anni dalla Liberazione italiana, deve essere quello di lenire le ferite storiche attraverso un percorso di «riconciliazione e non solo di ricompensa economica», come lo ha definito lo storico tedesco Lutz Klinkhammer, attraverso l’inclusione dei familiari delle vittime nel dibattito e magari anche l’istituzione di nuovi luoghi di memoria condivisa. In questo modo, forse, anche lo Stato tedesco sarebbe più propenso a partecipare alle iniziative riparative.

Se il problema giuridico è ancora aperto – come hanno sottolineato gli organizzatori Anne Peters, Valentina Volpe e Giovanni Boggero – l’obiettivo di eventi come quello di Villa Vigoni è quello di avvicinare mondi, favorire il dibattito e lo scambio giuridico e culturale. Così da individuare non solo soluzioni giuridiche ma anche metodi alternativi per chiudere controversie troppo grandi per essere risolte con il solo strumento del diritto.

© Riproduzione riservata