Oggi, dopo il rinvio di quattro mesi dalla prima seduta fissata, il parlamento si riunisce in seduta comune per tentare di eleggere i dieci consiglieri laici del Consiglio superiore della magistratura. Stando alle anticipazioni turbinose delle ultime ore prima del voto, sarà un mero pro forma: la fumata dell’aula sarà quasi certamente nera, con nessun eletto. Si andrà quindi a martedì prossimo o, probabilmente, a quello del 31 gennaio, che sarà anche la prima seduta in cui si abbasserà il quorum. Per eleggere i laici, infatti, la Costituzione prevede il voto qualificato di tre quinti degli eletti, che diventano tre quinti dei presenti alla terza votazione.

Lo scontro nel centrodestra è feroce: i posti, in una sede istituzionale prestigiosa e ben remunerati, sono entrati nella giostra dello spoils system di governo e le promesse ai tanti pretendenti sono state ben superiori al numero di sedie disponibili.

Con il risultato di moltissimi scontenti, soprattutto tra le file di Fratelli d’Italia - in cui sono sfumate le candidature di alcuni avvocati dalla lunga militanza nel partito – e l’impasse quasi totale sui nomi. Il Csm, infatti, è organo cruciale sia perché è presieduto dal presidente della Repubblica ma anche perché può essere la spina nel fianco del ministero della Giustizia, sui cui atti esprime i pareri delle toghe. Per questo è stato attenzionato personalmente dalla premier Giorgia Meloni con l’aiuto del braccio destro Alfredo Mantovano.

A scombinare i piani, accendere gelosie e scatenare dubbi e sospetti è stato il nuovo meccanismo della trasparenza imposto dalla riforma dell’ordinamento giudiziario. I nomi dei candidati devono essere pubblici in un lungo elenco sul sito della Camera, che di giorno in giorno si è allungato fino a 286 nomi tra i quali spiccano moltissimi ex esponenti soprattutto dei partiti di centrodestra. Nelle tornate elettorali precedenti, invece, la nomina dei laici avveniva a pacchetto con un pre accordo raggiunto da tutte le forze parlamentari prima della seduta comune, con nomi resi noti solo al momento dell’elezione.

I tre nomi certi

Per tentare di sbrogliare la matassa, la maggioranza ha in programma una riunione in mattinata, appena prima del voto. Tuttavia, in pochi pensano che sia risolutiva perché i nomi portati dovranno incontrare anche il placet minimo delle opposizioni. Per ora, nella selva degli autocandidati, le uniche certezze sono i tre nomi presentati con le firme dei gruppi parlamentari: due avvocati ex politici e un tecnico. Per i politici, l’ex senatore modenese proveniente dall’Msi ma eletto con Forza Italia, Enrico Aimi, e l’ex senatore romano e presidente della fondazione di Alleanza nazionale, Giuseppe Valentino. Per i tecnici, l’avvocato padovano Fabio Pinelli, difensore dei leghisti Luca Morisi e Armando Siri e legale di fiducia della regione Veneto.

Solo sui loro nomi c’è stato accordo unanime del centrodestra, certificato dal fatto che le firme depositate a sostegno dei loro nomi appartengono a parlamentari di tutti e tre i gruppi (quando sarebbero bastate le firme di rappresentanti di due soli gruppi). L’elezione non è automatica, tuttavia difficilmente i partiti bruceranno nomi su cui si sono pubblicamente esposti. Oltre, però, non si è andati e le opposizioni temono che il bailame di nomi nel centrodestra li porti a forzare la mano, per ottenere più dei 7 posti inizialmente ipotizzati.

I tanti incerti

Se di certi ci sono solo i nomi di tre avvocati uomini, tutto il resto rimane incerto. Meloni avrebbe espresso la volontà di avere una «nutrita rappresentanza femminile» tra i laici, dicono fonti vicine a FdI. Tuttavia, nella lista dei nomi presentati le donne sono meno di una cinquantina (molto inferiore rispetto al 40 per cento previsto dalle regole della Camera) e forse l’unico davvero noto per il centrodestra è quello dell’avvocata trentina Claudia Eccher, legale di Matteo Salvini e moglie di un ex senatore leghista, la cui autocandidatura è stata presentata a ridosso della scadenza del termine. Per il secondo posto in quota Lega, però, si rincorre anche il nome dell’ex presidente dell’ordine di Nola ed ex senatore (ma eletto coi Cinque stelle), Francesco Urraro.

Per Forza Italia, invece, pesa il nome dell’ex storico legale di Silvio Berlusconi, Gaetano Pecorella. Tra i professori autocandidati, invece, il più connotato da una storica vicinanza con la destra è il costituzionalista Felice Giuffrè, nominato dall’ex governatore Nello Musumeci per i ricorsi della regione Sicilia alla Consulta, insieme alla professoressa napoletana Caterina Miraglia, ex assessora della giunta Caldoro e vicina a FI. C’è poi anche il nome dell’ex presidente del Consiglio nazionale forense, Andrea Mascherin, che nel corso del suo mandato ha maturato conoscenze politiche bipartisan. Il termine per i candidati “partitici” e cioè presentati con le firme dei parlamentari scade alle 10, appena sei ore prima del voto, poi sarà definitivamente chiuso (a meno di riaperture impreviste se il voto sarà a vuoto) e i dieci laici dovranno necessariamente trovarsi nella lista.

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