La conferenza stampa annuale della Corte costituzionale è stato un ottimo successo comunicativo, ma ha dato adito anche a chiavi interpretative opposte delle parole del suo presidente, Giancarlo Coraggio. Durante l’incontro con la stampa, Coraggio ha risposto sia a domande che riguardano l’attività della Corte e le sue sentenze, sia a quesiti di attualità. La risposta sul ddl Zan, tuttavia, ha proiettato la Consulta al centro del dibattito mediatico. Coraggio ha spiegato che il contrasto all’omofobia è «all'ordine del giorno del parlamento e spero che riuscirà a trovare la quadra. Sicuramente una qualche normativa, come c'è in quasi tutti i Paesi del mondo, è opportuna». Le sue parole, contestualizzate, potevano suonare quasi neutre (Coraggio ha detto che è opportuna una legge, non si è riferito nello specifico alla legge Zan), sono invece entrate nello scontro tra forze politiche. Infatti l’«opportunità» è stata interpretata come il personale favore del presidente alla proposta di legge in discussione. Risultato: a destra la Verità ha riportato le parole titolando che la Corte sarebbe «pronta a sostituirsi all’assemblea degli eletti per introdurre una nuova fattispecie di reato, quella di omofobia che si vorrebbe inserire con la legge Zan nel Codice penale». Tanto che la Consulta ha smentito seccamente l’articolo con un comunicato, definendo «arbitraria» la ricostruzione del quotidiano e sottolineando che «per costante giurisprudenza costituzionale, la Corte non può creare nuove figure di reato o ampliare i confini di quelli esistenti» e dunque in nessun caso il presidente avrebbe potuto suggerire l’introduzione di nuove fattispecie di reato.

A sinistra, invece, Possibile ha inserito la fase nella sua comunicazione in favore al ddl Zan, giocando sul nome del presidente e scrivendo che «il presidente della Consulta è favorevole a una legge sull’omofobia. Ma ci voleva coraggio?».

La comunicazione

Al centro c’è il problema interpretativo che sorge ogni volta che una carica istituzionale prende la parola. Soprattutto oggi che la Consulta ha compiuto un indubbio salto di qualità nella sua comunicazione, dalla creazione dei podcast alle iniziative che ormai da anni organizza nelle scuole e nelle carceri. Un esercizio di trasparenza dell’organo, che però lo espone anche a possibili strumentalizzazioni.

Il crinale è sottile e sta ad ogni presidente percorrerlo come ritiene, a seconda della propria sensibilità nel rapporto con i media. La conferenza stampa, infatti, è un evento annuale che si svolge dal 1956, cioè dall’anno di istituzione della Corte, e rappresenta il momento pubblico per antonomasia in cui l’istituzione si apre alla società civile, facendo un bilancio della propria attività.

Se nei primi anni la cerimonia era molto formale e lo spazio per le domande dei giornalisti offriva meno spunti, negli ultimi vent’anni si è assistito a un cambio di paradigma e a una maggiore apertura al dialogo. Fino al presidente Coraggio, che ha interloquito per un’ora e mezza con i giornalisti, alternando risposte in cui ha elaborato la posizione della Consulta sulle sentenze pronunciate nell’ultimo anno a risposte sull’attualità politica, in cui ha espresso opinioni personali. Proprio questa distinzione di tono, però, rischia di essere il punto debole dell’apertura comunicativa della Corte. In questo modo, infatti, il giudice costituzionale non parla più solo con le sentenze pronunciate come organo, ma la sua voce entra necessariamente nell’agone politico. Con possibili risvolti inediti, soprattutto in tempo di crisi della politica.

 

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