La settimana di fuoco appena trascorsa lascia ferite ancora aperte a via Arenula. Il ministero della Giustizia è al centro della polemica su due fronti: il caso Cospito e quello che ormai è diventato il caso Donzelli-Delmastro. Su entrambi, con sfumature sia politiche sia giudiziarie, il guardasigilli Carlo Nordio sembra avere poco spazio per incidere. Alla fine, il rischio è che l’unico vero perdente sia proprio lui e soprattutto lo siano le sue iniziative di riforma della giustizia. Suo malgrado, infatti, si trova in prima linea su quella che è la linea del governo, finalmente esplicitata in modo chiaro dalla premier, Giorgia Meloni.

In una lettera al Corriere della Sera, infatti, ha invitato tutti ad abbassare i toni, «anche gli esponenti di Fratelli d’Italia», tuttavia ha blindato il sottosegretario Andrea Delmastro, per cui «non ci sono gli estremi per le dimissioni» e di fatto validato la linea di Donzelli. Meloni, infatti, ha ripetuto esattamente le accuse del suo fedelissimo: «Trovo paradossale che non si possa chiedere conto ai partiti della sinistra delle loro scelte, quando all’origine delle polemiche di questi giorni si colloca oggettivamente la visita a Cospito di una qualificata rappresentanza del Partito democratico, in un momento in cui il detenuto intensificava gli sforzi di comunicazione con l’esterno». Parole che, invece di sopirla, rischiano di accendere ancora di più la polemica e che danno la dimensione di come l’iniziativa di Donzelli non sia stata un’iniziativa individuale, ma una linea precisa avallata dal vertice.

Il caso Cospito

L’anarchico Alfredo Cospito, da 107 giorni in sciopero della fame al carcere di Milano Opera contro il regime di carcere duro, ha presentato ricorso anche al ministero per la revoca del 41bis. Per questo, oltre al ricorso in Cassazione la cui decisione è stata anticipata al 24 febbraio, il termine più impellente è quello del 12 febbraio.

Entro questa data il ministero deve rispondere alla richiesta e, secondo la legge del 2009, la decisione deve essere preceduta dai pareri obbligatori della direzione nazionale antimafia, della procura che ha seguito il caso e del tribunale di sorveglianza. Quello dell’antimafia è stato interlocutorio: «Alfredo Cospito può restare al 41 bis oppure tornare al regime di alta sicurezza, con tutte le dovute cautele», si legge nel documento. Contrario, invece, quello del procuratore generale di Torino, Francesco Saluzzo.

Manca quello del tribunale di sorveglianza, ma è già evidente come non sarà la magistratura a dare a Nordio la copertura per dire categoricamente no alla modifica del regime carcerario per Cospito.

Del resto – come ha detto anche Nordio – è «controverso» quanto questi pareri siano vincolanti. Tradotto: la scelta di revocare la misura è sì coadiuvata dalle necessarie valutazioni dell’autorità giudiziaria, ma rimane un atto di valutazione politica del ministro. Tuttavia, Nordio ha già chiarito che non eserciterà le sue prerogative di decisione. Il rischio, infatti, è di venire lasciato solo con il proverbiale cerino in mano.

Vista la politicità del caso, ha infatti detto che la decisione attesa per il 12 febbraio «verrà discussa in consiglio dei ministri» e ha auspicato anche un «dibattito parlamentare».Politicamente il segnale è quello di un ministro stretto tra due fuochi.

Da un lato fa parte di un governo che ha scelto la linea della fermezza, contro cui difficilmente reggerà una motivazione giuridica per la revoca della misura. Dall’altro c’è la forza di volontà del detenuto che ha già firmato il dat per non venire alimentato artificialmente. Tra questi opposti, il rischio è che a finire bruciato sia il ministro della Giustizia.

Il caso Delmastro

A peggiorare la situazione, su via Arenula si è abbattuta la crisi più grave fino ad oggi. Il deputato di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli, ha accusato in aula alla Camera i deputati Pd che erano andati a fare visita a Cospito di essere conniventi con i mafiosi e i terroristi.

A sostegno di questo, ha utilizzato una relazione di servizio della polizia penitenziaria, che è un documento riservato del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. A consegnarglielo, è stato il suo collega di partito e sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro. Entrambi hanno sostenuto che l’atto fosse pubblicabile, nonostante si trattasse di una relazione su detenuti al 41bis.

Al netto del ferocissimo scontro con l’opposizione, la responsabilità di questa pubblicazione è ricaduta indirettamente sul ministro, che prima ha preso tempo, parlando di atti «sensibili» e avviando un’inchiesta interna, poi però ha dovuto salvare il suo sottosegretario. Subito, infatti, è stato evidente che a prevalere sul diritto sarebbe stata la politica.

Donzelli e Delmastro, infatti, sono due fedelissimi della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha glissato sul caso e con il suo silenzio ne ha avallato la condotta. Il muro di FdI ha fino ad oggi protetto il sottosegretario e, nonostante fonti del ministero abbiano confermato che il ministro era all’oscuro di tutto, Nordio è stato costretto a prenderne le difese. Con una nota, infatti, ha spiegato che «la natura del documento non disvela contenuti sottoposti al segreto investigativo o rientranti nella disciplina degli atti classificati». Anche se sul documento figura la dicitura «limitata divulgazione».

Il comunicato, prontamente rilanciato da Delmastro, ha di fatto legato le mani al ministro per una eventuale revoca delle deleghe. Così, però, Nordio rischia un incrinamento anche dei rapporti interni al ministero. Dal Dap, infatti, sono filtrate considerazioni esattamente opposte a quelle della sua nota e fonti hanno fatto sapere che l’atto usato da Donzelli «non era divulgabile nè cedibile a terzi».

L’interrogativo, ora, è quale dirigente ministeriale si fiderà a posare sulla scrivania di Delmastro atti delicati.La minaccia peggiore per Nordio, però, potrebbe arrivare dalla procura di Roma che ha aperto un fascicolo a carico Donzelli per rivelazione e utilizzazione di segreto d'ufficio. Con il rischio che i pm smentiscano la tesi dello stesso ministero.

I tormenti di Nordio

A imbrigliare Nordio è soprattutto Meloni. Fratelli d’Italia, che lo ha eletto, sta mostrando ora il suo volto securitario e soprattutto la volontà di fare quadrato intorno ai propri uomini, nel silenzio di Lega e Fratelli d’Italia che così hanno preso le distanze da quello che è ormai un caso tutto interno al partito della premier.

Nordio sarà costretto a riferire di nuovo in aula, prestando la voce alla difesa d’ufficio di Delmastro. Ironia della sorte, proprio il sottosegretario con cui va meno d’accordo e con cui ha avuto gli scontri più accesi nelle scorse settimane sul tema delle intercettazioni.

Nel tritacarne dello scontro rischia di finire proprio questa riforma annunciata da Nordio e che ha già prodotto un duro confronto con i magistrati.

Il ministro ha detto di voler modificare le norme sulle intercettazioni, limitandole ai reati più gravi ed impedendone la illegittima pubblicazione sui giornali. Meloni ha scritto di trovare «singolare che ci si scandalizzi perché in parlamento si è discusso di documenti non coperti da segreto, mentre da anni conversazioni private - queste sì da non divulgare - divengono spesso di pubblico dominio».
Tuttavia, visti i dubbi che ancora permangono sulla pubblicabilità di atti che non sono nella disponibilità di tutti, la battaglia di Nordio per riformare le intercettazioni non può che venire indebolita. Cosa che – è il sospetto che circola in via Arenula – in fondo potrebbe essere una conseguenza inaspettata ma positiva proprio per FdI. Dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro, infatti, il partito di Meloni sta cavalcando la lotta alla mafia e tutti gli strumenti simbolo, dalle intercettazioni al 41 bis.

Non a caso proprio Delmastro aveva messo anche pubblicamente paletti all’iniziativa riformatrice di Nordio. Ora, costringendo il ministro a difenderlo, potrebbe averla sabotata meglio che con le sole parole.

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