I corridoi del tribunale di Milano sono semideserti per colpa del Covid, ma le voci corrono sulle chat nei cellulari dei magistrati. Nel palazzo di giustizia va in scena uno scontro mai visto, per proporzioni ma anche per calibro dei contendenti: da un lato i giudici, con a capo il presidente del tribunale, Roberto Bichi, dall’altra la procura guidata da Francesco Greco. Magistrati giudicanti contro requirenti. Al centro c’è il metodo di conduzione delle indagini di quello che a Milano è stato considerato il più importante processo per tangenti da Mani pulite: il processo Eni-Shell Nigeria per corruzione internazionale, che si è concluso nei giorni scorsi con la pronuncia di assoluzione degli imputati da parte del collegio presieduto da Marco Tremolada.

Nel corso delle indagini i pm ascoltano Pietro Amara (imputato in vari procedimenti legati al caso Eni e al centro del cosiddetto “sistema Siracusa” per pilotare le inchieste) che sostiene di aver saputo dai capi dell’ufficio legale di Eni che i difensori «avevano accesso» a Tremolada. I pm Fabio de Pasquale e Sergio Spataro tentano di introdurre le dichiarazioni di Amara nel processo, ma non ci riescono. Intanto, a fine gennaio 2020, Greco trasmette l’informazione alla procura di Brescia, che è titolare dell’azione penale per reati commessi da magistrati di Milano. Qui viene aperto un fascicolo a carico di ignoti per traffico di influenze illecite e abuso d’ufficio, ma subito l’indagine si sgonfia: i capi dell’ufficio legale negano e l’inchiesta viene archiviata.

Ora che anche il processo Eni si è concluso con una sconfitta della tesi della procura, la guerra prima tenuta sotto traccia è emersa in tutta la sua violenza. In una lettera ai colleghi, Bichi – considerato persona prudente e accorta, poco incline ad entrare in polemica – difende l’operato dei giudici e parla di «subdole insinuazioni», provenienti proprio dall’interno del mondo della magistratura e che sarebbero «una espressione di degrado gravissima». Poche ore dopo, arriva la replica di Greco, che difende l’inchiesta e il metodo di indagine di De Pasquale e Spadaro che «nonostante le intimidazioni subite hanno svolto il loro lavoro con serenità, professionalità e trasparenza».

Con la sentenza di assoluzione su Eni, a finire al centro delle critiche è il metodo di indagine seguito da De Pasquale e Spataro, entrambi considerati fedelissimi di Greco e suoi allievi. La “scuola” milanese prevede l’intransigenza nel condurre l’accusa e il rigore nel perseguire i potenti (negli anni Novanta la politica, oggi Eni). In questo caso, anche a costo di dar credito alle parole di Amara, considerato inattendibile in diversi processi. Nella sua nota il procuratore capo risponde in particolare a quelle mosse dalla procura generale della Corte d’appello (l’ufficio oggi presieduto dalla neo procuratrice Francesca Nanni): nel processo d’appello ai due presunti mediatori della corruzione internazionale, condannati in primo grado con rito abbreviato, la sostituta pg Celestina Gravina ha criticato il lavoro dei colleghi del primo grado e in particolare del costo delle indagini, parlando di «un grande dispiego di risorse di cui qualcuno dovrà rispondere». Proprio questo ha colto nel vivo, perché Greco ha spesso indicato come fiore all’occhiello della procura milanese il fatto di aver fatto guadagnare milioni di euro allo stato, grazie alle confische e ai grossi processi tributari: «In materia di corruzione internazionale l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale è rafforzata dagli impegni assunti dallo stato italiano con la Convenzione Ocse di Parigi del 1997», ha scritto il procuratore capo.

Le correnti

Proprio la linea Greco, che a novembre andrà in pensione per raggiunti limiti di età, oggi spacca a metà la procura milanese. Da sempre blocco monolitico e fortino delle toghe di Magistratura democratica, da più parti definita un «tempio» dove i procuratori capi si succedono in continuità uno con l’altro mutuando le tecniche di indagine, oggi questo impianto rischia di vacillare.

Da un lato ci sono i sostituti e gli aggiunti – tra i quali Laura Pedio e Fabio De Pasquale dell’indagine Eni – di Magistratura democratica come Greco e prima di lui il “maestro” Edmondo Bruti Liberati. Dall’altro lato ci sono quelli non ideologicamente contigui, che di Greco non avrebbero mai guadagnato la fiducia e sarebbero stati messi ai margini. Proprio loro sperano (e lavorano) affinché il prossimo procuratore capo sia il primo a infrangere la liturgia e dunque non provenga dalle fila milanesi di Md. Anche se, a Milano, il papa straniero non è mai stato accolto con grandi onori.

Per ora, un primo timido segnale di discontinuità da parte del Csm è arrivato l’anno scorso con la nomina di Nanni a capo della procura generale: lei, proveniente dal tribunale di Cagliari, ha avuto la meglio sull’interno Fabio Napoleone nella successione al pensionato Roberto Alfonso. Da poco insediata, Nanni si è tenuta fuori dalla polemica scoppiata tra gli uffici giudicante e requirente, ma proprio le parole di una sua sostituta hanno scatenato le ire di Greco. Segno che da più parti, nelle aule milanesi, sta premendo la voglia di un nuovo approccio alle indagini, archiviando la stagione delle toghe di Mani pulite e sovvertendo un altro principio non scritto: la preminenza della procura e un ruolo molto defilato della procura generale di Corte d’appello. Ora sembra che anche questo possa cambiare, con una procura generale più propensa a esercitare in modo pieno la sua funzione di controllo.

La successione a Greco

Tutto è connesso nella galassia della magistratura. Nel caso della successione a Greco, c’è un filo che lega indissolubilmente le sorti di Milano e quelle di Roma. Le due maggiori procure italiane – quelle che valgono come due ministeri nella grammatica politica – dipendono una dall’altra e la causa va cercata nel caso Palamara. Dopo che la notizia della cena all’hotel Champagne ha fatto saltare la nomina di Maurizio Viola, la procura di Roma è stata assegnata a Michele Prestipino, braccio destro del pensionato Giuseppe Pignatone e dunque in continuità con la sua gestione. L’accoglimento dei ricorsi contro la nomina presentati sia da Viola che dall’altro contendente Francesco Lo Voi (entrambi più titolati di Prestipino), però, rischia di costringere il Csm a ritornare sulla scelta fatta. Per impedire che questo succeda, l’obiettivo di palazzo dei Marescialli sarebbe quello di far perdere interesse ai due, offrendo loro una sede di loro preferenza che a breve si libererà: a Viola la procura di Palermo, a Lo Voi il vertice della procura nazionale antimafia.

E a Milano? Nei giorni scorsi, e non per la prima volta, si è visto uscire dall’ufficio di Greco il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri. I due si sono allontanati insieme, nessun altro magistrato era nella stanza e dunque difficilmente il dialogo riguardava un’indagine. «A maggio, quando si aprirà la presentazione, farò domanda per dirigere la procura di Milano», conferma Gratteri, che aggiunge: «Farò lo stesso anche a settembre, per la procura nazionale antimafia. Poi sarà il Csm a decidere». Ma se l’antimafia sarebbe già stata immaginata per Lo Voi in modo da risolvere il pasticcio romano senza scalzare Prestipino, per Gratteri si profilerebbe un trasferimento al nord.

L’ipotesi fa inorridire qualcuno ed entusiasma altri. «Quando esisteva “il sistema”, una ipotesi del genere non sarebbe mai potuta nemmeno nascere», dicono alcuni in tribunale, riferendosi al sistema delle correnti. Dentro al Consiglio superiore della magistratura e anche a Milano, invece, c’è chi considera Gratteri ciò che servirebbe per sparigliare finalmente le carte nel fortino lombardo e dimostrare che il metodo delle nomine è cambiato. Gratteri, infatti, è da sempre autonomo rispetto alle correnti e sarebbe un sicuro cambiamento rispetto alla continuità tra toghe di Md.

Eppure, manca ancora un tassello: ieri proprio Luca Palamara è stato ascoltato dalla prima commissione del Csm. «Ho parlato di fatti specifici e in particolare degli uffici giudiziari di Roma e Milano», ha detto l’ex magistrato. L’audizione è durata oltre un’ora e non è stata resa pubblica, ma le parole di Palamara confermano che i legami tra le due capitali giudiziarie sono solidi sul fronte degli interessi correntizi e ancora non del tutto emersi. In particolare si somiglia il meccanismo delle nomine degli aggiunti graditi alle correnti e ai vertici degli uffici fatte negli anni scorsi, che emerge anche dalle chat intercettate dal trojan e che certificherebbe come il sistema romano fosse rodato anche a Milano. Da cui ora il Csm cerca di prendere le distanze.

 

© Riproduzione riservata