Vietti parla di controllori e controllati che non possono condividere lo stesso percorso di carriera. Eppure l’articolo 104 della Costituzione dice che la magistratura è una, costituendo un unico ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, ‘ancorché’ composta dai giudicanti e dai requirenti
L’avvocato Michele Vietti (già Vicepresidente del Csm) ha detto che «non è possibile che controllore e controllato condividano lo stesso percorso di carriera, lo stesso sistema di reclutamento, lo stesso organo disciplinare e appartengano alla stessa corporazione». Precisato che per ‘controllore’ e ‘controllato’ qui si intende il magistrato giudicante e rispettivamente quello requirente, l’affermazione del Vietti compendia l’argomentazione fondamentale su cui si basa la c.d. “separazione delle carriere” in corso di approvazione.
Orbene, è storicamente accertato che con l’avvento della Costituzione è finalmente prevalsa – sulla concezione francese (di matrice napoleonica) coltivata nei precedenti nostri ordinamenti (liberali e fascisti) – l’opposta visione italiana del Pubblico Ministero, tesa a sottrarlo all’influenza del potere esecutivo, per assoggettarlo (come avviene esplicitamente per i «giudici»: art. 101 Cost.) esclusivamente alla legge.
Il processo di equiparazione – in punto di autonomia e indipendenza del requirente rispetto al giudicante – è stigmatizzato soprattutto nell’art. 104, 1° Cost. Per scongiurare alle radici la concezione francese (cioè l’asservimento del Pubblico Ministero al potere esecutivo o politico), in sede costituente niente sembrò più dirimente e univoco che attribuire ai (magistrati) requirenti le stesse connotazioni di autonomia e indipendenza riservate ai (magistrati) decidenti, creando così una categoria unitaria, quella dei ‘magistrati’. Unitaria sì, ma soltanto (ovviamente) in punto di autonomia e indipendenza, tanto ovvie e irrilevanti restando sia le differenze ontologiche tra le due categorie di magistrati, sia la loro comune disciplina.
In altri termini, secondo l’accettata lettura del vigente art. 104, 1° Cost., la magistratura è una, costituendo un unico ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, ‘ancorché’ composta dai giudicanti e dai requirenti! Scontata sia l’ovvia differenza funzionale tra giudicanti e requirenti sia la loro comune disciplina, entrambi sono accomunati dall’autonomia e dall’indipendenza rispetto ad ogni altro potere: tale il fondamentale ‘principio’ costituzionale che scolpisce la separazione dei poteri.
Ma proprio per questa via si tocca il vero punctum dolens! Invero, secondo la riforma vagheggiata da Vietti (e non solo), viene ridisegnato l’art. 104 Cost., ribadendo sì che «La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere», ma puntualizzando immediatamente che essa è «composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente».
Le due affermazioni sono ora intrinsecamente correlate, nel senso che - alla loro stregua – l’autonomia e l’indipendenza della magistratura sono costituzionalmente predicabili soltanto se le carriere dei ‘controllori’ giudicanti e dei ‘controllati’ requirenti siano differenziate, in termini di accesso, carriera, disciplina, etc. Pertanto autonomia e indipendenza dei magistrati presuppongono ora – secondo i nuovi conditores – l’effettiva e concreta separazione delle carriere tra giudicanti e requirenti, che deve essere attuata proprio con la proposta riforma costituzionale. Soltanto in tal modo – si conclude - il Giudice sarà finalmente «terzo e imparziale» (anche) rispetto al pm (art. 111, 2° Cost.).
Argomenti suggestivi
Questa impostazione si nutre, come premesso, di argomenti suggestivi: ...«controllori e controllati» - «lo stesso percorso di carriera, lo stesso sistema di reclutamento, lo stesso organo disciplinare e appartengano alla stessa corporazione». Ma anche Vietti non si pone una domanda, tanto ovvia quando dirimente: nel dettare l’art. 104 Cost., per proclamare soprattutto l’indipendenza del pm da ogni altro potere, i costituenti ignoravano - o potevano ignorare - le disposizioni comuni ai ‘controllori’ giudicanti e ai ‘controllati’ requirenti, in termini di accesso, carriera, disciplina etc.? Certamente no.
E perciò, a misura che Vietti sottolinea l’ovvietà della propria critica, si rafforza e diventa insuperabile la convinzione che, nel vigente art. 104 Cost., è statuita l’indipendenza di giudicanti e requirenti rispetto ad ogni altro potere, attesa la cosciente e deliberata irrilevanza delle disposizioni che li accomunano sotto vari aspetti!
Così stando le cose, si può concludere che:
a) innovando convintamente sulla costituzione (anche) materiale prerepubblicana, l’attuale art. 104 Cost. prescrive l’indipendenza e l’autonomia dell’insieme dei giudici e requirenti erga omnes, cioè rispetto ad ogni altro potere pubblico, ancorché le due menzionate categorie siano in parte regolate dalle medesime norme;
b) invece l’auspicata riforma accede al medesimo risultato finale - indipendenza e autonomia di requirenti e giudicanti erga omnes - ma soltanto se, e quando, saranno effettivamente separate le loro specifiche carriere: nelle rappresentazioni teoriche più estreme (la proposta di legge costituzionale d’iniziativa popolare) si suggerisce di instillare addirittura un fisiologico antagonismo, una necessaria ‘inimicizia’, tra requirenti e giudicanti per garantirne l’indipendenza reciproca !
Residuano due obiezioni.
La prima segnala che, mentre attualmente l’art. 104 Cost. garantisce hic et nunc l’indipendenza di requirenti e giudicanti rispetto ad ogni altro potere, l’approvazione della riforma comporta il medesimo risultato, ma soltanto dopo l’implementazione della complessa nuova disciplina e il suo non semplice innesto sull’attuale ordinamento, creando così nel frattempo un irriducibile vuoto normativo. E al postutto perché mai la separatezza interna condiziona rigorosamente quella esterna, cioè rispetto agli altri poteri?
Infine se - come è indubitabile - il tema della separazione delle carriere è ampiamente discusso da decenni, come mai nessuno ha sollevato in sede propria la relativa questione di legittimità costituzionale nei termini ora oggetto di apposita non semplice riforma?
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