Il testo scritto non esiste ancora ma dovrebbe venire presentato nei prossimi giorni. Tuttavia, il ddl di riforma dell’ordinamento giudiziario dovrebbe contenere anche una serie di previsioni per mettere fine a due aspetti controversi nella carriera dei magistrati: la possibilità di candidarsi alle elezioni e di venire collocati fuori ruolo dalle funzioni requirenti o giudicanti per svolgere funzioni a uffici internazionali, oppure per diventare capi di gabinetto e funzionari nei ministeri.

Entrambe queste possibilità sono previste dall’ordinamento ma le regole, considerate poco restrittive, hanno creato una zona grigia che ha generato eccessi e casi limite, con una commistione tra politica e magistratura che stride, in particolare dopo il caso Palamara.

I tanti casi Maresca

Il più recente caso di magistrato prestato alla politica e poi ritornato a svolgere il suo ruolo, ma senza abbandonare la carica pubblica, è quello di Catello Maresca. Il magistrato antimafia della corte d’appello di Napoli si è candidato come indipendente ma sostenuto dal centrodestra come sindaco della città, chiedendo d’aspettativa per svolgere la campagna elettorale. Già questa prima fase aveva generato polemiche: il suo nome è stato sui giornali come candidato per mesi, ma Maresca ha chiesto l’aspettativa solo con l’ufficializzazione della sua candidatura.

Sconfitto dal candidato di centrosinistra, Gaetano Manfredi, Maresca è stato eletto in consiglio comunale e ha scelto di mantenere il suo seggio alla guida dell’opposizione a palazzo San Giacomo. Contemporaneamente, però, ha anche chiesto e ottenuto di rientrare in magistratura e il Consiglio superiore della magistratura, che pure si è spaccato sulla decisione, lo ha designato come consigliere di corte d’appello civile a Campobasso.

A prevedere la possibilità che questo avvenga è il testo unico degli Enti locali del 2000, che prevede che un magistrato sia eleggibile a una carica amministrativa nel territorio in cui esercita la funzione solo se in aspettativa dal giorno prima della presentazione delle candidature. Una volta eletto, tuttavia, può chiedere di tornare in ruolo attivo e ricoprire entrambi i ruoli: quello di sindaco o di consigliere comunale e di magistrato. L’unica limitazione riguarda la sede: una circolare del Csm prevede che debba essere assegnato “un posto vacante in un distretto vicino a quello dove esercita il mandato”. Come nel caso di Maresca, a Campobasso.

Davanti alla pioggia di critiche, soprattutto di una parte dei suoi colleghi magistrati, Maresca si è difeso dicendo di aver rispettato tutte le regole e che il suo non è certo l’unico caso di magistrato in ruolo prestato alla politica.

In passato, Gennaro Marasca è stato contemporaneamente assessore della giunta regionale campana di Antonio Bassolino dal 1994 al 1997 e consigliere di corte d’appello a Campobasso. La differenza rispetto a Maresca, però, è che all’epoca venne nominato assessore tecnico e non partecipò alla corsa elettorale.

Altro caso citato è quello di Nicola Graziano, che fu candidato sindaco e consigliere comunale ad Aversa nel 2005 e rimase in toga per un anno e mezzo dopo l’elezione facendo il giudice a Napoli. Lo stesso è avvenuto con Lorenzo Nicastro, che era pm a Bari e assessore all’Ambiente nella giunta regionale di Nichi Vendola. Giuseppe Adornato è stato pubblico ministero a Palmi e contemporaneamente assessore all’Urbanistica di Reggio Calabria nella giunta di centrodestra del 2003.

Elio Costa, che proprio con Adornato ha lavorato, è stato insieme sindaco di Vibo Valentia nel 2002 e sostituto procuratore generale alla corte d’Appello di Roma. Nicola Marrone è stato giudice a Torre Annunziata e assessore dal 2009 e sindaco dal 2013 nel vicino comune di Portici. Mariano Biranda è stato giudice a Sassari e candidato sindaco nella città per il centrosinistra nel 2019, oggi consigliere comunale e consigliere in corte d’appello penale a Torino.

L’attuale riforma dell’ordinamento giudiziario prevede che questa situazione cambi, regolando le cosiddette “porte girevoli” tra politica e magistratura. Il testo non è ancora disponbile, ma dal ministero è stato reso noto che i magistrati non potranno candidarsi nel collegio in cui è compreso in tutto o in parte l'ufficio giudiziario in cui hanno prestato servizio negli ultimi tre anni. All'atto dell'accettazione della candidatura dovranno essere posti in aspettativa senza assegni. Cambieranno anche le condizioni per poter tornare a indossare la toga al termine del mandato.

Le indicazioni della commissione di esperti nominati da Cartabia, che dovrebbero essere una sorta di bozza dell’articolato finale, prevedono che i magistrati non siano eleggibili a nessuna carica, comprese quelle comunali, se hanno prestato servizio nei due anni precedenti la candidatura in un ufficio giudiziario di quel territorio. Nel corso del mandato, invece, il magistrato deve rimanere collocato fuori ruolo e senza stipendio (ma il tempo vale ai fini pensionistici e di anzianità professionale).

Quando rientra in ruolo, infine, non può esercitare l’incarico nella sede in cui si è candidato. I casi come quelli precedenti – Maresca compreso – non dovrebbero più essere possibili.

Anche adesso, per la verità, un divieto esisterebbe. Però è solo di natura disciplinare: l’articolo 8 del codice etico approvato dall’Associazione nazionale magistrati prevede che “nel territorio dove esercita la funzione giudiziaria il magistrato evita di accettare candidature e di assumere incarichi politico-amministrativi negli enti locali”. Ma spesso i magistrati che scelgono di candidarsi prima di farlo si cancellano dall’Anm.

I fuori ruolo

Altro tema controverso all’interno della magistratura è quello dei magistrati fuori ruolo. Ovvero, i magistrati che chiedono di essere destinati a incarichi non giudiziari ma sempre all’intero della pubblica amministrazione, come nei ministeri, o presso autorità amministrative indipendenti come l’Anac, o ancora in progetti governativi di cooperazione internazionale all’estero. Attualmente, la collocazione fuori ruolo non può durare più di dieci anni complessivi e non dovrebbe riguardare più di 200 magistrati (anche se dal calcolo sono esclusi quelli che prestano attività presso organi costituzionali o di rilevanza costituzionale, come il Csm, la presidenza della Repubblica e la Corte costituzionale). 

La questione del grande numero di fuori ruolo è stata recentemente sollevata con una interpellanza urgente al governo dal deputato di Azione, Enrico Costa, visti i dati sulla carenza di organico nei palazzi di giustizia e sulla mole di arretrato che appesantisce i tribunali. Non solo: Costa ha sottolineato come la presenza di un gran numero di magistrati dentro i ministeri (soprattutto quello della giustizia) e quindi nelle maglie dell’esecutivo inquini i rapporti tra poteri.

Attualmente – gli elenchi pubblici sono aggiornati all’aprile 2021 – i magistrati fuori ruolo sono 161, più altri 42 presso organi costituzionali. Circa un centinaio di loro è distaccato presso il ministero della Giustizia.

La sottosegretaria alla Giustizia, Anna Macina, ha risposto a Costa specificando gli impegni del ministero a correggere il sistema. Da quanto è stato anticipato, il maxi emendamento governativo al ddl di riforma dell’ordinamento giudiziario contiene la previsione di un taglio nel numero di fuori ruolo consentiti e anche della durata dell’esperienza. 

La commissione Luciani ha proposto, nel suo articolato, di introdurre una serie di vincoli, come l’intervallo di tre anni tra un incarico fuori ruolo e l’altro, il principio dell’«interesse dell’amministrazione di appartenenza» e un controllo per evitare conflitti di interesse. Il dettaglio, però, sarà probabilmente disciplinato nei decreti delegati al ddl.

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