L’impegno si è inserito nell’agenda degli ultimi giorni di mandato del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in modo inaspettato: oggi sarà presente e presiederà il plenum del Consiglio superiore della magistratura, assistendo così proprio nei giorni finali del suo mandato all’ultima crisi che si sta consumando nel sistema giustizia.

La necessità della sua presenza è giustificata da una prassi: il capo dello Stato, in quanto presidente del Csm, presiede sempre la seduta in cui si nomina il primo presidente della Cassazione, che è anche membro di diritto del Consiglio superiore. Cosa che Mattarella aveva fatto anche il 15 luglio 2020 quando Margherita Cassano e Pietro Curzio erano stati nominati. 

Oggi, il Csm dovrà confermare la decisione presa in tutta fretta dalla quinta commissione di confermare Curzio al vertice della Suprema corte e Cassano come presidente aggiunta, dopo l’annullamento del Consiglio di Stato del 14 gennaio. Appena in tempo per permettere a Curzio di intervenire con piena legittimazione all’apertura dell’anno giudiziario in Cassazione previsto per il 21 gennaio, evitando che al suo posto prenda la parola il presidente di Sezione più anziano.

Davanti a Mattarella, tuttavia, potrebbe consumarsi una seduta tutt’altro che tranquilla e istituzionale. «Ci sarà dibattito», conferma un consigliere togato. Tradotto: la decisione di confermare Curzio e Cassano, presa a maggioranza dalla commissione Nomine, è tutt’altro che unanime. Dunque davanti al plenum c’è da aspettarsi più di un intervento non proprio accondiscendente. 
In commissione, infatti, la proposta della riconferma lampo con una aggiunta di motivazione per superare la sentenza dei giudici amministrativi è passata dopo molte tensioni. Gli uffici del Csm hanno lavorato per “sanare” i problemi delle precedenti motivazioni sulle nomine sollevati dalla decisione del Consiglio di Stato. Alla fine, la maggioranza per il sì alla nuova nomina è stata di 4 voti a favore – Antonio D'Amato di Magistratura indipendente; Alessandra Dal Moro di Area; Fulvio Gigliotti, laico del M5S e il laico di Fi Alessio Lanzi) - e due astenuti, Sebastiano Ardita di Autonomia e Indipendenza e Michele Ciambellini di Unicost (che è anche il gruppo associativo a cui è vicino Angelo Spirito, il ricorrente contro Curzio e Cassano).

Se gli altri componenti del plenum si assoceranno a come hanno votato i loro rappresentanti in quinta commissione, la maggioranza per confermare la nuova nomina di Curzio e Cassano ci sarà. Tuttavia, potrebbe prodursi l’ennesima spaccatura dentro un Csm sempre più in crisi.

la spaccatura

I dubbi della minoranza in merito alla decisione lampo del Csm riguarderebbero soprattutto il metodo. La prima questione riguarda la sfida che così si lancia al Consiglio di Stato: la conferma dei due vertici di Cassazione significa di fatto ritenere errata la conclusione del giudici amministrativi, che hanno sostenuto invece che i titoli maggiori li avesse Angelo Spirito, secondo i criteri del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria. Questo prelude a uno scontro aperto tra due organi di rilevanza costituzionale e anche la nuova motivazione potrebbe dare adito a un ulteriore ricorso.

La seconda questione riguarda invece la tempistica: la sentenza di annullamento del Consiglio di Stato è del 14 gennaio, il 17 la commissione si è riunita e ha riscritto le motivazioni confermando la nomina, oggi il plenum la ratifica. Una velocità che è un unicum nella storia del Csm. Basti pensare che nel caso di un altro annullamento eclatante fatto dal Consiglio di Stato – quello della nomina del procuratore capo di Roma, Michele Prestipino – la nuova nomina è avvenuta undici mesi dopo. Inoltre, anche le nomine ordinarie spesso richiedono mesi di valutazioni interne alla commissione.

L’aria a palazzo dei Marescialli è quella pesante di chi deve difendersi dall’ennesimo attacco, che questa volta è arrivato dalla magistratura amministrativa. Lo scontro va ben oltre il singolo caso – pur importante – della decapitazione della Cassazione e attiene alle prerogative costituzionali dell’organo e ai limiti, anche futuri, alla sindacabilità delle nomine da parte del Consiglio di Stato. Eppure, la risposta dei consiglieri non sarà unanime.

Il presidente Mattarella, dunque, è chiamato a un ultimo atto da presidente non solo della Repubblica ma anche del Csm, pur se inatteso: ratificare con la sua presenza la nuova decisione del consiglio (e la scelta di aprire lo scontro con il Consiglio di Stato). Non certo il modo in cui il capo dello Stato avrebbe voluto chiudere il suo settennato, durante il quale si è consumata proprio la crisi del Csm.

Proprio Mattarella, per la prima volta nel 2019 dopo lo scandalo Palamara e poi nel corso degli ultimi mesi, ha lanciato ancora un appello per una «riforma della magistratura e del Csm», definita «non più rinviabile». Oggi, invece, assisterà all’ennesima conferma delle difficoltà dell’ordine giudiziario, ancora senza riforma e apparentemente incapace di autoriformarsi e al centro di tensioni anche con gli altri organi di rilevanza costituzionale.

 

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