Per capire che cosa succederà nei prossimi mesi, sia in politica sia in magistratura, bisogna tenere gli occhi puntati su Catanzaro. O meglio, sull’edificio giallo che si affaccia su piazza Matteotti e sul suo inquilino: il procuratore capo Nicola Gratteri.

È lui l’epicentro di una serie di movimenti sotterranei che riguardano due mondi sempre più divisi al loro interno. Da una parte quello delle toghe, spaccate tra quelle istituzionali in piena crisi di rappresentanza e quelle che nei loro vertici non si riconoscono più. Dall’altra quello della politica, fiaccata da mesi di governo Draghi e in lotta per ricomporre i nuovi poli che si sfideranno alle prossime elezioni.

In mezzo a questa doppia crisi di sistema, Gratteri è diventato il volto più spendibile per tutti e il più ricercato: le sirene della politica bussano alla sua porta in una processione che in città è stata notata.

Fratelli d’Italia

In gennaio è arrivato il leader della Lega, Matteo Salvini, che si sarebbe intrattenuto nel suo ufficio per più di due ore. Nel giorno dei trent’anni dalla strage di Capaci è stato il turno del segretario del Pd, Enrico Letta, che anche pubblicamente gli ha espresso «solidarietà e vicinanza». Il giorno dopo è arrivata anche Giorgia Meloni, in città per sostenere la sua candidata sindaca al comune. Proprio questo passaggio potrebbe essere stato il più proficuo di una campagna acquisti in atto da parte di Fratelli d’Italia: accaparrarsi il miglior candidato in circolazione nel collegio, in vista delle future politiche. In città e nel palazzo di giustizia le voci di una discesa in politica di Gratteri con il partito di Meloni si rincorrono e anche da ambienti nazionali del partito la notizia non viene smentita.

Lui – che già nel 2016 era stato lusingato (e poi tradito) dall’offerta di un ministero da parte di Matteo Renzi – a domanda diretta risponde secco: «Non ho nessun abboccamento specifico con Fratelli d’Italia. Io parlo con tutti e con tutti dico la mia. Sono anni che lo faccio e la mia versione non è mai cambiata, a differenza di quella di altri». La sua prima vocazione è sempre stata quella della toga, ma chi lo conosce dice che la politica gli piace e le sue simpatie si sarebbero sempre collocate a destra. Tuttavia lui ricorda che «Fratelli d’Italia per esempio sostiene il sì ad alcuni quesiti referendari, a cui io sono contrario».

Eppure, non è passato inosservato il suo durissimo attacco nei confronti del governo Draghi – di cui Meloni è l’unica opposizione – e della ministra della Giustizia, Marta Cartabia al Maurizio Costanzo Show. «Se parliamo di riforma della giustizia e di sicurezza, non ci siamo proprio», ha detto, aggiungendo che «c’è aria di liberi tutti: è un momento brutto per il contrasto alle mafie».

Le parole sono pesanti e i riferimenti chiari. Per il mondo dell’antimafia di cui Gratteri è rimasto l’ultimo nome veramente rappresentativo, il governo Draghi è stato di gran lunga il peggiore degli ultimi anni e le ragioni si possono elencare. Con il ddl penale ha introdotto prescrizione processuale che fissa a due anni la durata del grado d’appello, col rischio di calare la mannaia dell’improcedibilità su molti procedimenti in materia di criminalità organizzata.

Inoltre è il governo che dovrà licenziare la riforma del carcere ostativo prevedendo – sulla scia della sentenza della Corte costituzionale – di eliminare il vincolo della collaborazione per i mafiosi. Poi c’è stata la nomina nel delicatissimo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – anello di congiunzione tra stato e carceri – del magistrato Carlo Renoldi, senza esperienza specifica di antimafia rispetto a un passato in cui si era privilegiata questa voce di curriculum. Infine, ultimo tradimento che ha toccato nel vivo lo stesso Gratteri: la preferenza del procuratore capo di Napoli, Giovanni Melillo, come procuratore nazionale antimafia.

La mancata nomina

Proprio questa mancata nomina è la ragione che lo induce a guardare con distacco alla politica che lo cerca: sa che il suo nome è elettoralmente forte ma sminuisce gli attestati di solidarietà arrivati in questi giorni, dopo la notizia di un possibile attentato ai suoi danni da parte della ‘ndrangheta. «Perché me la manifestano solo ora? Dopo che i loro rappresentanti laici al Csm (nessuno è in quota FdI, ndr) hanno votato contro di me come procuratore nazionale antimafia».

Accanto alle lusinghe di una politica affamata di legittimazione, anche nella magistratura la sua figura attrae e divide. Soprattutto ora che sta iniziando a prendere vita la campagna elettorale per l’elezione del prossimo Consiglio superiore della magistratura, prevista in estate oppure a fine anno (a seconda di quando la riforma dell’ordinamento giudiziario, che contiene le legge elettorale, verrà approvata).

In suo favore si sta animando una parte di magistratura che guarda con sospetto alla storica dimensione associativa, percepita come la vera zavorra irriformabile della categoria. Proprio questa parte, in cerca di simboli ma anche di rappresentanti, attende solo una sua discesa in campo e spera che alle lusinghe politiche preferisca l’attaccamento alla toga.

È ancora presto per dire se Gratteri accetterà la sfida e lui stesso non nega ma non si sbilancia. Anzi, nella sua ultima intervista a Otto e mezzo ha detto che potrebbe fare anche «il contadino», un mestiere che insegna che si semina oggi per raccogliere domani. Gratteri – sia in politica sia in magistratura – di semi ne ha sparsi molti e ora non gli resta che decidere quali raccogliere. È lui stesso a offrire la sintesi di questa fase di riflessione: «Penso a tante cose e non escludo nulla».

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