C’è un riflettore puntato sulla procura di Milano e in particolare sul procuratore capo Francesco Greco. Ad accenderlo è stata l’audizione del 24 marzo di Luca Palamara, convocato su richiesta della prima commissione del Consiglio superiore della magistratura. I contenuti sono stati secretati e l’ascolto di Palamara in veste di testimone, organizzato in tutta fretta, non ha potuto essere trasmesso in diretta da Radio Radicale. Ma ogni parola è stata messa a verbale.

«È stato il procuratore Greco a indicarle i nomi degli aggiunti da nominare a Milano?», sarebbe stata questa la domanda con cui la presidente della prima commissione e togata di Area, Elisabetta Chinaglia, ha accolto Palamara.

Sono seguite un’altra serie di domande circoscritte, in cui si è chiesto conto della condotta di Greco, che è stato esponente di Magistratura democratica, la componente delle toghe progressiste che, insieme a Movimento per la Giustizia fa parte di Area. Poi si è passati ai suoi rapporti Palamara che all’epoca era capocorrente di Unicost e gestiva tutti i pacchetti di nomine che passavano dal Consiglio. Un focus troppo specifico su cui c’è stata una decisa insistenza di alcuni togati del Csm, tanto che da più fronti arrivano segnali che nei confronti di Greco si starebbe valutando un procedimento disciplinare e il trasferimento per incompatibilità.

Palamara avrebbe risposto provando ad allargare il contesto alla situazione di Roma e spiegando nuovamente il meccanismo per le nomine che lui governava, fatto di rapporti anzitutto con le correnti e con i loro capi, con i quali si concertava la spartizione: l’ormai noto sistema delle nomine, di cui Palamara sarebbe stato ingranaggio.

Le scelte del 2017

All’epoca delle nomine del 2017, la situazione a Milano è da anno zero: dopo lo scontro negli anni precedenti tra il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati e il suo aggiunto, Alfredo Robledo, la procura va ricostruita intorno al successore di Bruti Liberati, Francesco Greco, nominato nel 2016.

I posti scoperti da oltre un anno di procuratore aggiunto sono cinque (più un altro da nominare un mese dopo) e i rapporti tra correnti avrebbero determinato che tre nominati andassero al gruppo di Area, uno a Unicost e una invece fosse trasversale, anche se considerata vicina a Piercamillo Davigo.

Quanto ai nomi, Palamara avrebbe spiegato alla prima commissione del Csm che erano i capicorrente a indicarli e non Greco che non gli avrebbe mai indicato alcun collega, ma con il quale Palamara intratteneva rapporti saltuari, lo incontrava e si scambiava messaggi, in nessuno dei quali si parla di nomine. Tutti captati dal trojan installato nel suo cellulare e oggi agli atti sia dell’inchiesta di Perugia a suo carico, che strumenti a sostegno dei procedimenti disciplinari in corso davanti al Csm.

I due blocchi

Durante l’audizione, però, sarebbe successo anche altro. Anzi, si sarebbero sfidati due blocchi contrapposti.

Da un lato chi ha cercato di circoscrivere le domande alla sola procura di Milano e dunque alla condotta del procuratore Greco.

Dall’altro chi, come il consigliere indipendente eletto con Autonomia e Indipendenza Nino Di Matteo, invece ha provato ad allargare l’audizione al sistema nel suo insieme, individuando tutti i livelli di potere e dunque ritornando anche sulla dinamica delle nomine alla procura di Roma, che lambisce anche il Quirinale e in particolare il consigliere per gli affari della giustizia di Sergio Mattarella, Stefano Erbani, che figura ripetutamente nelle chat di Palamara.

Il contesto

Il contesto in cui l’audizione di Palamara avviene è quello di grande confusione: le dinamiche delle correnti sono saltate, i meccanismi che hanno governato il sistema prima dello scandalo non sono più sotto controllo. E i segnali che Milano possa essere il nuovo epicentro di un possibile terremoto sono arrivati la settimana scorsa, all’indomani della sentenza Eni che ha visto assolvere gli imputati.

Quel che si è visto in superficie è stato un duro scontro a colpi di lettere tra il procuratore Greco e il presidente del tribunale, Roberto Bichi: il primo difendeva l’operato dei suoi aggiunti, il secondo apprezzava l’operato del collegio giudicante nel processo Eni. Le contrapposizioni sono proseguite anche nelle chat interne, fino ad una riunione chiarificatrice e infine un comunicato congiunto firmato da Bichi e Greco in cui si legge che «La giurisdizione milanese ha sempre rispettato e valorizzato i principi costituzionali del giusto processo e dell'obbligatorietà dell'azione penale».

E’ in questo clima a Milano che si è incardinata l’audizione a Roma di Palamara voluta dal Csm. Un Csm che a giugno aprirà alle candidature per la successione di Greco, che andrà in pensione a novembre.

Secondo i pronostici, si candiderebbero in quattro: il procuratore aggiunto di Milano, Maurizio Romanelli, da anni collaboratore di Greco e che rappresenterebbe la continuità con la sua gestione; il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, che invece sarebbe la rottura più dirompente; il procuratore aggiunto di Roma, Paolo Ielo e il procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato.

La successione

Sotto la superficie della ritrovata pace ambrosiana, però, la rottura interna riguarda soprattutto la procura. L’ufficio è diviso tra chi in questi anni ha lavorato a più stretto contatto con Greco, e chi invece si è sentito messo ai margini e – anche in seguito all’inchiesta Eni – coltiva dubbi sul metodo di indagine imposto dal vertice.

I primi preferirebbero che il successore venisse scelto in continuità con l’operato di Greco, mantenendo così i metodi di indagine che fino ad ora hanno caratterizzato la procura e hanno portato a risultati positivi soprattuto sul fronte delle indagini di natura finanziaria. I secondi, invece, auspicherebbero una rottura netta col passato e dunque un nuovo procuratore esterno alle dinamiche ormai cristallizzate dell’ufficio.

Eppure, Milano ha sempre puntato a distanziarsi rispetto alle dinamiche politiche della Capitale e, anche in questa fase, negli uffici giudiziari si guarda con forte diffidenza alle mosse che provengono dai palazzi romani del potere togato. 

L’interrogativo ora, però, è se l’audizione al Csm condizionerà gli ultimi mesi della gestione di Greco e in che modo questo influirà sulla nomina del suo successore.

E’ probabile che, se dal Consiglio partisse il procedimento nei confronti di Greco, questo rafforzerebbe – almeno mediaticamente – l’esigenza di marcare una rottura col passato nella scelta del futuro vertice della procura. Un’esigenza, tuttavia, che sarebbe l’ennesimo prodotto dell’esplosione del caso Palamara e che rischia di mettere in secondo piano il criterio del merito nella scelta del capo della seconda procura più importante d’Italia.

© Riproduzione riservata