L’unica certezza che ancora manca è su quando verrà approvata al Senato. Tutto il resto della riforma costituzionale della giustizia - che prevede la separazione delle carriere, il sorteggio per i due Csm e la creazione di una Alta corte disciplinare – è assolutamente chiaro: il testo è arrivato in aula blindato e, appena passerà anche in seconda lettura, verrà fissata la data del referendum costituzionale.

Ma la conclusione dell’iter al Senato non è solo questione tecnica. Una dilazione farà slittare anche a seconda lettura, che potrà cominciare solo dopo tre mesi, e dunque impedire il sì definitivo entro fine 2025, come da auspicio del ministro della Giustizia Carlo Nordio.

A questo stanno lavorando le opposizioni: nonostante il “canguro” sugli emendamenti, il Pd e gli altri partiti di opposizione sono pronti a illustrare e prendere tutto il tempo a disposizione per quelli rimasti. «Tutto si deciderà nella prossima capigruppo», ha detto il presidente del Senato, Ignazio La Russa, e ha assicurato di cercare di «di non bloccare minimamente il dibattito», ma «dipende dalla capacità dei parlamentari soprattutto di opposizione, di contribuire a un dibattito proficuo ma non necessariamente artatamente prolungato». Magra consolazione, viene fatto notare dall’opposizione, considerato che non si era mai vista una riforma costituzionale arrivata in aula con un testo del governo e inemendabile nemmeno dalla sua stessa maggioranza.

Per ora la discussione è stata ricalendarizzata per il primo luglio e quasi certamente servirà anche tutta la settimana prossima per arrivare al via libera. Se così sarà, il testo tornerà alla Camera nelle prime settimane di ottobre. Difficile sarà completare l’iter entro fine anno, considerando anche che il calendario delle camere da dicembre in poi sarà ingolfato con la Finanziaria.

L’effetto sul Csm

Il perché di questa corsa del governo, però, si spiega non solo con la volontà di votare al referendum nel 2026 così da considerarlo un test per le politiche dell’anno successivo. La ragione si interseca in modo stretto con i tempi del Consiglio superiore della magistratura.

Spiega una fonte ministeriale che l’obiettivo chiesto dal governo è quello di «arrivare a giugno 2026 con tutto già pronto, anche le leggi di attuazione», nel tentativo di eleggere con il nuovo sistema del sorteggio i nuovi consiglieri dei due Csm che verranno istituiti. L’alternativa – a cui alcuni tra gli attuali consiglieri sia laici che togati si stanno preparando – sarebbe quella di una proroga dell’attuale Consiglio, che avrebbe la sua scadenza naturale a luglio 2026. Se ciò non avvenisse, infatti, tra tredici mesi il parlamento e i magistrati verranno chiamati ad eleggere i loro membri laici e togati secondo le regole della riforma Cartabia che la riforma cancellerà.

Scetticismo sul fatto che l’operazione riesca al centrodestra trapela dal Pd: «Le leggi di attuazione dovranno passare dal parlamento e lì ci faremo di sicuro sentire, la tecnica d’aula ci permetterà maggiore margine di azione». Anche perchè, come ha spiegato chi si sta occupando del dossier al ministero, le leggi di attuazione – su cui Nordio stesso ha tentato di aprire un confronto con i gruppi associativi delle toghe, almeno nella parte più conservatrice – dovrebbero contenere norme che temperino il sorteggio puro per l’elezione di laici e anche di togati. Tradotto: non potranno essere calate dall’alto come è stato per la riforma.

In queste prospettive – l’eventuale proroga del Csm e come temperare il sorteggio – i movimenti sotterranei sono molti. Sia sul fronte della parte più dialogante delle toghe, che su quello politico del centrodestra.

Lo scontro

Al netto del timing, a palazzo Madama è andato in scena l’ennesimo scontro, dopo la decisione di sfoltire i 1.300 emendamenti con il “canguro” e la mancanza del numero legale nella prima votazione.

Nordio, nelle sue repliche alla discussione generale, non si è trattenuto nel difendere la sua riforma. Ha risposto al capogruppo dem Francesco Boccia che lo aveva accusato di aver imposto una riforma del governo senza possibilità di modifica, dicendo che «dovrei sentirmi quasi un dittatore» ma «semplicemente, nel programma elettorale, la riforma era davanti agli italiani» e «se non c’è stato dialogo è perché nessuno lo ha mai voluto». Più che della separazione delle carriere, poi, si è occupato del sorteggio e su questo ha lanciato il vero affondo alla magistratura. In passato «era molto comodo eliminare l'avversario per via giudiziaria quando non si riusciva a eliminarlo per via politica. Questa riforma mira a riportare una equità e una dignità alla politica. Introducendo il principio del sorteggio riequilibriamo questi poteri», ha detto riferendosi al potere dei gruppi associativi.

Nel ribadire che non c’è alcuna volontà di sottoporre il pm all’esecutivo, secondo Nordio così «si darà veramente respiro alla magistratura. Non sarà un'umiliazione, piuttosto un recupero della loro dignità e libertà», ha detto citando l’ormai celeberrimo caso Palamara e sottintendendo che il «mercimonio» non sia ancora finito. Secondo lui, «le toghe non sostengono le riforme per paura delle correnti». Tra le proteste delle opposizioni e la standing ovation della maggioranza per il guardasigilli, si è conclusa la discussione generale e ora la questione passa nelle mani di La Russa per oliare i binari e far correre il testo in aula.

A distanza, invece, è arrivata la replica del presidente dell’Anm, Cesare Parodi che ha espresso preoccupazione per «l’autonomia e l’indipendenza della magistratura» e smentito il ministro: il confronto sarebbe stato cercato, ma «nessuna forma di concreto dialogo o apertura». Quanto al caso Palamara, «è stato scoperto dalla magistratura, e su cui la magistratura ha agito con durezza». Da questa incomunicabilità partirà il dibattito (e lo scontro) referendario.

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