Luca Palamara ha annunciato che si candiderà alle elezioni suppletive di Roma, nel collegio di Monte Mario – Primavalle lasciato vacante dalle dimissioni della deputata dei 5 Stelle Emanuela Del Re, nominata rappresentante speciale dell’Ue per il Sahel. L’ex magistrato, di cui le Sezioni Unite della Cassazione civile ha confermato la radiazione rigettando il suo ricorso, ha scelto la sede del partito radicale per annunciarlo. «Intendo dare continuità al mio racconto sulla magistratura e rilanciare il mio impegno e da cittadino libero decido di candidarmi, per incoraggiare un cambiamento reale nella magistratura e per dare piu forza al referendum e per tutti i cittadini che non vogliono processi ingiusti». 

Ha spiegato di non avere preclusioni nè per la destra, nè per la sinistra, ma di candidarsi come privato cittadino. Palamara ha anche firmato cinque dei sei quesiti referendari, tranne responsabilità diretta dei magistrati perché «non voglio una magistratura difensiva, che possa arretrare sul piano della tutela dei diritti, ma una magistratura che rispetti le regole».

Il caso Greco-Storari

Nel suo intervento, Palamara è entrato nel merito anche delle attuali vicende che hanno colpito la magistratura. Prima di tutto ha sottolineato il “tempismo” della sentenza delle Sezioni Unite sul suo caso, uscita in parallelo con la decisione della sezione disciplinare del Csm, «che confutava l’attività del pg di Cassazione Giovanni Salvi e del procuratore capo di Milano, Francesco Greco» rigettando la richiesta di trasferimento cautelare del pm Paolo Storari.

Poi ha posto una serie di quesiti, sostenendo che la vicenda milanese sia strettamente collegata a quella romana che lo ha riguardato. «Il 23 maggio il nominativo del procuratore di Roma Marcello Viola venne votato anche da Piercamillo Davigo. Inoltre dai verbali risulta che ci fu una lite con l’allora consigliere Sebastiano Ardita all’indomani della pubblicazione della mia vicenda. questa è riconducibile al fatto che fu Ardita a dire a Davigo di votare Viola?», ovvero il nome uscito dalla cena all’hotel Champagne, rivelata poi dalla fuga di notizie su un’inchiesta a carico di Palamara.

Poi aggiunge: «Fatto sta che il nome di ardita è il primo a venir consegnato a Davigo dai verbali che gli dà Storari. Inoltre, immediatamente dopo la decisione contro di me al Csm, Davigo viene pensionato. Perché?».
Tutte domande che, secondo Palamara, contribuiscono ad aprire nuovi squarci sulla gestione interna della magistratura.

La conferma della radiazione

La decisione della candidatura è arrivata dopo che le Sezioni Unite civili della corte di Cassazione hanno rigettato il ricorso di Palamara, confermandone la radiazione stabilita dalla sezione disciplinare del Csm lo scorso 9 ottobre.

Nelle 180 pagine di sentenza, la Cassazione scrive che "Il dottor Palamara ha agito sulla base di motivazioni assolutamente personali, intendendo colpire specificamente singoli magistrati, volta per volta presi di mira e al contempo e sinergicamente, ponendo in essere manovre strategiche tese a collocare-in alcuni uffici giudiziari sensibili-taluni magistrati in luogo di altri aspiranti".

Un modus operandi che ha portato alla "inevitabile ma necessaria conseguenza di sfavore di tutti i (numerosi altri) concorrenti rimanenti, diversi da quelli prescelti, programmaticamente selezionati non già sulla base di meriti oggettivi, ma unicamente in forza di convenienze strettamente personali, dell'incolpato e dei suoi interlocutori".

In realtà, la sentenza (che non affronta la questione dei trojan installati nel cellulare di Palamara) lascia però anche uno spiraglio per un possibile nuovo ricorso: “Il ricorrente non sarebbe privo di tutela qualora dovesse, in ipotesi, risultare in seguito che le registrazioni delle intercettazioni non siano state effettuate presso gli impianti installati presso la procura della repubblica di Roma. In tale ipotesi, allo stato priva di qualsiasi evidenza, ben potrebbe attivare il rimedio della revisione”.

Proprio su questo tema è in corso un procedimento penale a Firenze a carico di Dulilio Bianchi, il titolare della Rcs, società che ha fatto gli ascolti dal trojan di Palamara, di cui si è scoperta la tenuta di un server privato negli uffici giudiziari di Napoli.

La questione dei trojan è fondamentale anche per un altro procedimento disciplinare: quello del parlamentare Cosimo Ferri, intercettato durante la cena all’hotel Champagne e che contesta l’utilizzabilità delle captazioni perché, secondo lui, sono state ottenute violando le sue guarentigie di parlamentare. Secondo la procura, invece, sono state intercettazioni “casuali” e dunque non necessitavano di preventiva autorizzazione.

Il ricorso a Strasburgo

Palamara, tuttavia, ha fatto sapere di non voler desistere e di essere pronto a perorare la sua causa anche in sede europea: «Porterò il caso in Europa, in attesa di tutti gli accertamenti sul trojan tuttora in corso», ha detto dopo la pubblicazione della sentenza.

In sede di conferenza stampa, l’ex magistrato si è detto certo che rientrerà in magistratura perchè il tempo gli darà ragione, dunque la sua toga è solo riposta. Poi ha ribadito che «voglio raccontare come funzionano i meccanismi interni alla magistratura e mi rivolgo a chi di questo sistema ha beneficiato: raccontate voi e non lasciate che sia sempre io a farlo».

Nel frattempo proverà ad entrare in parlamento.

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