I fondi del Next Generation Fund (smettiamola di chiamarli Recovery Fund: dovranno essere utilizzati infatti per progetti strategici e dovranno essere rimborsati dai nostri figli e dai nostri nipoti, dalle nuove generazioni di cittadini europei) potrebbero finalmente aiutare la risoluzione delle criticità della nostra “azienda” Giustizia?

Sulla carta sicuramente sì. Nella realtà, a due condizioni.

Al di là dello stallo esistente sull’approvazione del bilancio europeo, causato da Ungheria e Polonia che non accettano “condizionalità” sul rispetto dei fondamentali dello Stato di Diritto (aspetto questo, surreale di una Europa che in questo Terzo millennio si ritrova quasi a dover imporre i principi fondanti delle democrazie liberali ad alcuni dei suoi membri, recalcitranti alle leggi democratiche) esistono due aspetti, peculiari del nostro Paese da non sottovalutare.

Innanzitutto, temo che le organizzazioni criminali saranno più brave e più efficienti a candidarsi, in modo ovviamente clandestino, a ricevere questa magnitudo di denaro mai vista tutta insieme prima.

Dobbiamo assolutamente evitarlo, per due ragioni fondamentali: non dare ai nostri partner europei la prova che la loro diffidenza nei nostri confronti era più che motivata; fare in modo che questi fondi arrivino davvero nelle tasche o nei bilanci di quei soggetti che sono in grado di valorizzarli per permettere al nostro paese di uscire da questo incubo ma anche dalle sue storiche criticità, come il funzionamento della macchina della giustizia.

Il pericolo delle organizzazioni criminali

Su questo tema si è espressa recentemente Paola Severino, ex ministro della Giustizia, prendendo una posizione rigorosa su che cosa bisognerebbe fare fin da subito, per evitare che una parte del Next Generation Fund finisca di arricchire ulteriormente le organizzazioni criminali che operano nel nostro Paese. Organizzazioni criminali che possono contare sul fior fiore di “colletti bianchi” professionalmente in grado di conoscere con acume e tecnica la dinamica e i processi per farsi aggiudicare i fondi europei in arrivo.

Il nostro Paese dispone già di strumenti normativi per prevenire fenomeni illeciti nell’impiego di denaro pubblico.

Mi riferisco, in particolare, alle norme antiriciclaggio, ai sistemi di tracciabilità nei flussi finanziari, ai controlli antimafia, ai vari obblighi di trasparenza, alle misure anticorruzione, al ruolo dell’Anac.

Come giustamente sottolineato da Severino, a questi strumenti si deve però aggiungere un passaggio ulteriore. «Il più efficace rimedio contro la corruzione – ha scritto – è rappresentato da un efficiente funzionamento della macchina amministrativa. Tempi rapidi, procedimenti trasparenti, chiara individuazione dei responsabili, conoscenza e competenza dei pubblici funzionari sono la precondizione di un uso corretto dei fondi e di una buona riuscita dei progetti di investimento».

Le misure che servono

Per sperare che i fondi del Next Generation Fund finiscano davvero nelle tasche dei soggetti giusti, onesti ed efficienti, servono misure specifiche che introducano procedure efficienti. Paola Severino ne individua almeno cinque. 

Costituire, presso tutte le amministrazioni centrali e locali coinvolte dai progetti, squadre di funzionari composte dalle migliori professionalità selezionate nei singoli enti;

È necessario un piano di formazione di quadri e dirigenti pubblici che fornisca loro gli strumenti, non solo tecnico-specialistici, ma anche manageriali per gestire i progetti.

Bisogna diffondere l’uso della tecnologia digitale cogliendo l’opportunità per una vera trasformazione di tutta la macchina pubblica.

Sarebbe di conseguenza importante pianificare l’assunzione di giovani con competenze digitali che assecondino il processo e aiutino l’intera platea dei funzionari pubblici a rinnovarsi anche culturalmente.

Occorre infine, soprattutto per i progetti volti a sostenere gli investimenti privati, un utilizzo di meccanismi automatici (per esempio il credito di imposta) che permettano il più possibile di disintermediare i trasferimenti di risorse facendole così affluire rapidamente all’economia reale.

Chiarito tale aspetto, c’è una seconda questione che non va assolutamente sottovalutata: il “come” progettare, approfittando di questa straordinaria opportunità, un intervento globale e strategico di riforma della nostra zoppicante macchina della Giustizia.

Il Ministro Bonafede ha recentemente nominato una nuova commissione per aggiornare il quadro degli interventi da effettuare.

A forza di nominare continuamente nuove commissioni ministeriali (da oltre 25 anni il nostro sistema giudiziario è praticamente bloccato, ma le commissioni che si sono succedute nel tempo sono state numerose) si rischia di non affrontare mai concretamente il problema ma di limitarsi a fotografare l’inefficienza del nostro apparato.

La giustizia civile non funziona

Tra l’altro, il non funzionamento della giustizia, soprattutto civile, come emerge dalle ultime indagini di mercato, costituisce una delle ragioni primarie che sconsigliano agli investitori stranieri di pianificare acquisizioni in Italia o comunque di effettuare insediamenti nel nostro Paese, nonostante delle ottime opportunità sia aziendali sia economiche.

Sergio Rizzo ha recentemente fotografato la situazione in modo completo ed accurato evidenziando l’incredibile quantità di processi civili attualmente rubricati nei vari tribunali d’Italia, l’inefficienza dei tempi di smaltimento di tali carichi di lavoro arretrato, l’assoluta mancanza di criteri di meritocrazia all’interno della struttura amministrativa.

Su questi temi, basterebbe ritornare alle conclusioni dei lavori della commissione Alpa, nominata nel 2016 proprio per esaminare ed individuare soluzioni procedurali che potessero accelerare lo smaltimento dei processi esistenti nei tribunali e fornire alternative processuali per evitare nuovi ingorghi nei nostri tribunali.

Il documento finale della commissione Alpa (datato 18 gennaio 2017 e di cui non si è più saputo nulla e che, evidentemente, nessun ministro ha preso più in considerazione) fornisce un quadro assolutamente completo, accurato e aggiornato su quelli che potrebbero essere degli strumenti di “degiurisdizionalizzazione” del sistema italiano con particolare riguardo agli istituti della mediazione, della negoziazione assistita e dell’arbitrato.

Le 194 pagine del documento Alpa potrebbero rappresentare un punto di partenza autorevole e approfondito per ricavare delle idee e dei titoli per un progetto di riforma della nostra azienda Giustizia, proprio con i fondi del Next Generation Fund.

D'altronde proprio nelle linee guida di Bruxelles, inviate ai vari stati membri per l’utilizzo di tali fondi, uno dei titoli più rilevanti è proprio la possibilità di valorizzare tale intervento straordinario dei fondi comunitari per riformare, rendendola più efficiente, la giustizia nel nostro paese.

Per questo serie di ragioni che ho cercato di sintetizzare, è fondamentale che i fondi tanto faticosamente ottenuti da Bruxelles siano utilizzati nel migliore dei modi e soprattutto non finiscano nelle mani sbagliate.

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