Il magistrato antimafia ha chiuso la sua carriera lunga quasi 40 anni con un comunicato. Meno di una settimana fa la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati per rivelazione di segreto
Il magistrato antimafia Michele Prestipino ha chiuso la sua carriera lunga quasi 40 anni con un comunicato. L’indagine della procura di Caltanissetta che lo vede indagato per rivelazione di segreto d’ufficio ha i piedi di argilla, secondo la difesa, ma ha già raggiunto il suo primo risultato.
Il pm, da tempo impegnato contro cosche e malaffare, abbandona la toga e lascia definitivamente il mestiere. Caro gli è costato il pranzo al ristorante romano Vinando con l’ex capo della polizia di stato, Gianni De Gennaro, oggi presidente del consorzio di imprese Eurolink.
Al tavolo c'era anche Francesco Gratteri, super-poliziotto che ha arrestato il boss Leoluca Bagarella prima di essere coinvolto e condannato successivamente per la gestione del G8 di Genova del 2001.
Oggi Gratteri è consulente di Webuild, azienda impegnata nel progetto del Ponte sullo stretto e in altre grandi infrastrutture. Un pranzo nel quale si è fatto riferimento a «particolari rilevanti» delle indagini in corso sulle infiltrazioni delle mafie negli appalti pubblici, da qui l’iscrizione nel registro degli indagati.
L’agenda rossa
Non era lui l’obiettivo dei pm, guidati da Salvatore De Luca, ma Gianni De Gennaro, intercettato e non indagato, per ricostruire quanto accaduto all’agenda rossa di Paolo Borsellino, sparita dopo la strage di via D’Amelio.
Il perché è presto spiegato, i pm nisseni provano a trovare risposte a scelte e condotte di un fedelissimo di De Gennaro, morto nel 2002. Si tratta dell’ex capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera, responsabile della “costruzione” del falso pentito Vincenzo Scarantino, collaboratore di giustizia fasullo che ha depistato le indagini sulla strage che uccise Borsellino e la sua scorta.
I motivi
Prestipino si è congedato con parole che tentano di allontanare l’indagine dalle ragioni che lo hanno spinto all’addio. «Dopo oltre 40 anni di servizio, ormai vicino al limite massimo previsto dalla legge è venuto il momento della pensione», scrive l’ex procuratore aggiunto di Roma e numero due della Direzione nazionale antimafia.
«Una decisione che ho maturato da tempo e di cui erano a conoscenza tutti quelli che mi sono particolarmente vicini», ha aggiunto. Non è entrato nel merito dell’inchiesta della procura nissena, anche perché proprio pochi giorni fa, ascoltato dai magistrati di Caltanissetta, si era avvalso della facoltà di non rispondere.
L’unico riferimento nella conclusione della sua missiva, rilanciata dalle agenzie e diffusa dal suo legale, Cesare Placanica. «L’indagine ha avuto ben poca importanza nella mia decisione, sia perché sono assolutamente tranquillo e persuaso che la vicenda sarà, spero a breve, chiarita, acclarando la linearità del mio comportamento, conforme, peraltro, a quello che ho tenuto per tutta la vita».
Una settimana fa, quando la notizia dell’indagine a suo carico è stata pubblicata, Prestipino aveva un ruolo di primo piano nel contrasto al crimine organizzato, era il numero due della Direzione nazionale antimafia, con l’incarico di coordinatore delle indagini su mafia e ‘ndrangheta.
Appena diffusa la notizia, il capo della super-procura, Giovanni Melillo, gli aveva revocato le deleghe mostrando pugno di ferro e delusione per quanto emerso. Dopo nemmeno sette giorni e arrivato il commiato. Un’uscita di scena inaspettata che genera disappunto, rammarico in tanti che hanno lavorato con lui.
Lo stato dell’antimafia
Da Palermo, dove era nel pool che ha coordinato l’arresto di Bernardo Provenzano a Reggio Calabria con le indagini sul potere della ‘ndrangheta fino a Roma con la famosa inchiesta Mondo di mezzo sulla corruttela in comune.
L’addio di Prestipino, che aveva già vissuto una pesante delusione quando il Consiglio di stato lo aveva bocciato nel ruolo di procuratore capo di Roma promuovendo Franco Lo Voi, racconta anche altro: lo stato delle cose nell’antimafia.
Procure contro che viaggiano verso sponde opposte e verità che sembrano sempre più lontane. A Firenze, i pubblici ministeri ancora indagano sui mandati occulti delle stragi sul continente, nel fascicolo d’indagine compare tra gli iscritti anche Mario Mori, in passato ai vertici del Ros e dei servizi segreti.
Mori ha sempre respinto con fermezza questa nuova contestazione. Indagato in Toscana è oracolo in Sicilia. I pm nisseni, infatti, danno ancora respiro e fiato al vecchio dossier mafia-appalti realizzato proprio dai carabinieri del Ros, impegnati anche nell’indagine che “ascolta” De Gennaro, a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e Novanta.
Un dossier causa madre della strage di via D’Amelio, secondo Mori e il fidato Giuseppe De Donno, entrambi ascoltati, poche settimane fa, dalla commissione parlamentare Antimafia, guidata dalla meloniana Chiara Colosimo. Proprio Colosimo oggi sarà impegnata in un convegno sul tema con il numero uno della Dna, Giovanni Melillo. Chissà se si parlerà anche delle procure contro e di quel che resta dell’antimafia.
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