Il quesito sulla scheda arancione al referendum del 12 aprile, che si terrà insieme alle elezioni amministrative, riguarda le motivazioni per cui si può disporre la misura cautelare. Votando sì, ci si esprime per ridurre la possibilità di trattenere in carcere un indagato prima del processo.

In particolare, il quesito prevede di eliminare dall’articolo 274 del codice di procedura penale una parte che riguarda il pericolo di reiterazione di reato.

La questione di procedura è complicata. Nella fase delle indagini preliminari, quindi prima che il processo inizi e che ci sia una sentenza di condanna, il pm può chiedere e il giudice per le indagini preliminari disporre una misura cautelare personale per l’indagato. Le misure cautelari sono gradate a seconda del reato per cui si indaga e possono essere per esempio l’obbligo di firma, il divieto di avvicinamento, l’obbligo di dimora in un determinato luogo, oppure quelle più invasive come gli arresti domiciliari o la detenzione in carcere.

Il gip le dispone sulla base di alcune motivazioni previste dal codice: innanzitutto devono esserci sempre gravi indizi di colpevolezza, poi si valutano il rischio che l’indagato inquini le prove, il pericolo di fuga e il rischio che commetta nuovamente il reato per cui è indagato. Basta che esista una di queste ragioni per disporre la misura cautelare.

La reiterazione del reato

Il quesito si concentra sul rischio di reiterazione del reato. Attualmente si prevede che questo pericolo esista quando, sulla base della personalità e delle circostanze del reato ipotizzato, l’indagato possa commettere gravi delitti con uso di armi, violenza personale, delitti di criminalità organizzata o “delitti della specie di quelli per cui si procede”.

Quest’ultima previsione e alcuni dettagli specifici che seguono è l’oggetto del referendum e i promotori chiedono di eliminarli, in modo da ridurre i casi in cui è possibile disporre una misura cautelare giustificandola con il rischio che l’indagato commetta di nuovo il reato. Se il quesito passasse, questa motivazione potrebbe essere usata solo per delitti gravi elencati nella prima parte dell’articolo, commessi con armi, con violenza o di criminalità organizzata. Non più, invece, per reati considerati meno gravi.

Le ragioni del Sì

Secondo i promotori, con modifica si ridurranno i casi di indagati che scontano una misura cautelare in carcere senza una sentenza che li condanni e che quindi – nei casi più gravi – finiscano in carcere come forma di pena anticipata. Il pericolo di reiterazione del reato, infatti, è la motivazione che più di frequente viene utilizzata per disporre una misura cautelare. Secondo i dati, in Italia si stima che in trent’anni siano state quasi 100 mila le persone che sono state private ingiustamente della libertà personale, 30 mila delle quali sono state indennizzate per ingiusta detenzione per un totale di quasi 900 milioni di euro.

Le ragioni del no

Secondo i critici, invece, non esiste un abuso delle misure cautelari che vengono disposte a tutela dell’ordine e della sicurezza dei cittadini. Addirittura, secondo alcuni giuristi, questo quesito rischia di generare l’effetto opposto rispetto a quello desiderato, creando un cortocircuito. Il taglio di una parte dell’articolo, infatti, potrebbe fare sì che una misura cautelare non possa essere disposta nel caso di rischio di reiterazione di reati che non rientrano tra quelli “gravi” indicati nella parte non toccata.

Un esempio che spesso si fa è quello del reato di stalking, che potrebbe non essere ricompreso. In realtà, secondo giurisprudenza, lo stalking è un reato che comprende il requisito della violenza psicologica, quindi va fatto rientrare nella casistica della parte di articolo non toccato dal taglio.

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