La riforma dell’ordinamento giudiziario arriva in aula alla Camera il 19 aprile, dopo un turbolento percorso di mediazione tra le posizioni dei partiti di maggioranza. Contiene lo stop alle cosiddette porte girevoli tra politica e magistratura; la modifica della legge elettorale del Csm e una serie di novità nel metodo di valutazione dei magistrati e di nomina per i ruoli di vertice negli uffici giudiziari. L’obiettivo è quello di approvarla, in entrambi i rami del parlamento, entro maggio: in tempo per eleggere con la nuova legge i prossimi componenti del Csm.

Parallelamente all’attività in parlamento, però, la Lega si sta preparando anche a un’altra data importante per la giustizia: il 12 giugno, il giorno del ballottaggio alle elezioni amministrative, si voterà infatti anche su cinque quesiti referendari proprio in materia penale e di ordinamento giudiziario.

I quesiti

I quesiti ammessi sono cinque (il sesto, quello sulla responsabilità civile dei magistrati, non è stato ammesso dalla Corte costituzionale). Il primo riguarda la presentazione delle liste per candidarsi al Csm: ora un magistrato deve raccogliere dalle 25 alle 50 firme, mentre il referendum chiede di abrogare questo vincolo. La ragione è che, secondo i proponenti, la raccolta di firme obbliga necessariamente il candidato a venire a patto con i gruppi associativi. Eliminandole, invece, ogni magistrato potrà liberamente candidarsi senza alcun condizionamento.

Il secondo riguarda la custodia cautelare in carcere, che oggi il pubblico ministero può disporre nella fase delle indagini preliminari, nel caso in cui esistano gravi indizi di colpevolezza sommati a pericolo di fuga, pericolo di reiterazione del reato e pericolo di inquinare le prove. Il quesito referendario punta a limitare la possibilità di ricorrere alla carcerazione preventiva prima della sentenza definitiva.

Il terzo prevede la separazione delle funzioni: attualmente i magistrati requirenti (i pubblici ministeri) e i giudicanti, nel corso della carriera, possono passare da un ruolo all’altro per un massimo di quattro volte. Possibilità che il referendum chiede di eliminare.

Il quarto riguarda l’abrogazione della legge Severino, che prevede regole di incandidabilità, in caso di condanna anche solo di primo grado per alcune specifiche ipotesi di reato, in particolare quelle contro la pubblica amministrazione.

L’ultimo, infine, prevede che, al momento della valutazione di professionalità dei magistrati dei consigli giudiziari, il voto spetti anche ai componenti laici dell’avvocatura, che oggi sono esclusi.

Le mosse della Lega

I leghisti, che hanno promosso i cinque referendum insieme al partito radicale, hanno iniziato a muoversi e lo hanno fatto anche da parlamento con alcuni voti in commissione contro le indicazioni del governo.

Emendamenti che ricalcavano i quesiti referendari per quella che è stata ribattezzata la “giustizia giusta”, infatti, sono stati presentati anche nel ddl di riforma dell’ordinamento giudiziario e l’indicazione della Lega è stata quella di votarli, anche con la consapevolezza che non sarebbero passati perchè fuori dall’accordo di maggioranza.

Anche questo fa parte del percorso di avvicinamento al voto ed è parte dei sintomi di insofferenza della Lega rispetto alla maggioranza di governo. Non a caso, il partito di Salvini ha bocciato più volte la riforma del Csm durante i vertici di maggioranza e fino all’ultimo ha minacciato di non votarla. Ancora ora, il leader ha specificato che «la riforma Cartabia non risolve i problemi della giustizia, ma è un passo avanti in attesa che gli italiani si esprimano con il referendum di giugno. Noi, cercheremo di migliorarla il più possibile, evitando di creare guai al governo».

Al netto delle schermaglie all’interno della maggioranza, tuttavia, nessuno nella Lega è disposto a scommettere sul fatto che i referendum raggiungano il quorum. Contro remano due fattori. Il primo è la complessità dei questi, su temi su cui non è facile mobilitare l’opinione pubblica. Infatti, in molti sospirano che lo scenario sarebbe stato molto diverso se «la Corte avesse ammesso anche uno solo tra i quesiti sulla cannabis o sull’eutanasia».

Il secondo è il fatto che si voti in una sola giornata: Lega e Forza Italia, infatti, hanno chiesto di prevedere la votazione in due giorni, anche il 13 giugno, come normalmente avvenuto in passato. Certo, la concomitanza con il secondo turno di amministrative potrebbe favorire l’affluenza, almeno nei comuni dove si eleggerà il sindaco, ma la speranza di raggiungere il 50 per cento dei votanti più uno è comunque molto bassa.

I quesiti salteranno?

Esiste però anche un’altra incognita. Tre quesiti referendari riguardano previsioni che – se il ddl verrà approvato in tempo – saranno modificate dalla riforma dell’ordinamento giudiziario: quelli sulle firme per candidarsi al Csm, sulla separazione delle funzioni e sul voto degli avvocati nei consigli giudiziari.

Esiste una questione procedurale: la riforma non è tutta una legge delega al governo, ma una parte è fatta di norme immediatamente applicative. Tra queste ultime rientra la legge elettorale del Csm, che prevede l’abolizione delle firme, e dunque – a seconda di come verrà approvata la versione finale della legge – verrebbe proprio meno la parte di testo da sottoporre al referendum.

Lo stesso non avviene per separazione delle funzioni e voto degli avvocati: entrambe le modifiche rientrano nella parte delegata al governo e inoltre la delega non ricalca esattamente il contenuto dei referendum. Tuttavia, dal punto di vista politico si pone comunque una questione di attualità dei quesiti.

Il tema è stato sollevato dal deputato del Pd, Walter Verini, che ha sottolineato come, con la riforma dell’ordinamento giudiziario votata anche dalla Lega, «potranno venire “assorbiti” i contenuti dei quesiti di almeno tre dei referendum ammessi dalla Corte».

I comitati e i sostenitori

Ad oggi, la mobilitazione intorno ai referendum rimane comunque scarsa. Si sono formati due comitati, uno promosso dal Partito socialista italiano di Riccardo Nencini e uno – il “comitato 6G” – creato da giovani giuristi (Alfonso Maria Fimiani, Rosa Argia D'Elia, Marco Anguissola, Michele Costabile, Emma Staine e Francesco Tetro). Presente è anche il partito radicale, che si era adoperato per la raccolta firme e la presentazione dei quesiti in un inedito fronte unito con Salvini. Si attende poi, ovviamente, la mobilitazione della Lega in parallelo con le campagne elettorali locali, che però sono rallentate dal fatto che molte città sono ancora senza candidato ufficiale per il centrodestra.
Sul fronte del sì al referendum, tuttavia, si sono collocati almeno due partiti: Forza Italia e Azione. Carlo Calenda ha confermato che il suo partito farà campagna per il sì, mentre per gli azzurri il leader Silvio Berlusconi ha dichiarato che «la riforma varata dal governo contiene aspetti positivi» ma può essere migliorata ed «è importante che i cittadini si possano finalmente pronunciare su un tema che li riguarda in modo diretto».

Fratelli d’Italia, invece, non sembra interessata al dibattito referendario, mentre al momento della raccolta firme aveva dato il via libera a quattro quesiti su sei, escludendo quello sulla custodia cautelare e quello sulla Severino. Anche sul referendum, quindi. il fronte del centrodestra è diviso e questo non aiuterà le già poche possibilità di raggiungere il quorum.

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