Il quesito sulla scheda gialla al referendum del 12 giugno, che si terrà insieme alle elezioni amministrative, riguarda la separazione delle funzioni tra giudici penali e pubblici ministeri.

Attenzione: non la separazione delle carriere, che presupporrebbe l’introduzione di due concorsi separati per svolgere il ruolo e forse anche due autonomi Consigli superiori. La separazione delle funzioni prevede solo di abrogare la norma di legge che permette al magistrato che abbia passato il concorso di passare, nel corso della sua carriera, da un ruolo all’altro.

Come funziona oggi

Attualmente, infatti, i magistrati hanno una carriera unica: fanno un unico concorso uguale per tutti e poi scelgono che funzione svolgere tra giudice penale, giudice civile e pubblico ministero. La scelta, che avviene sui posti vacanti, dipende dalla posizione in graduatoria del candidato che abbia superato il concorso, che spesso sceglie anche in base alla vicinanza geografica. Poi, in corso di carriera, i magistrati possono scegliere di passare da un ruolo all’altro fino a quattro volte. Secondo le statistiche ministeriali, la cosa avviene piuttosto di rado: ogni anno sono in media 19,5 i magistrati che passano da giudice a pm e 28,5 quelli che da pm passano alla funzione giudicante.

Le ragioni del sì

Al netto del risvolto pratico, l’obiettivo dei promotori del referendum è di raggiungere un primo stadio della separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici, cominciando con l’eliminazione della possibilità di passare da una funzione all’altra. In questo modo, un neo-magistrato deve scegliere in che ruolo cimentarsi per l’intera vita professionale. L’unica possibilità di cambio rimarrebbe per i giudici, che comunque in corso di carriera possono rimanere in funzione giudicante ma passare dai tribunali penali a quelli civili.

Secondo i sostenitori del sì, questo primo passaggio farebbe in modo che il sistema giustizia si riequilibri. Questo perché non ci sarebbero più commistioni tra il magistrato che giudica – che deve essere imparziale rispetto sia all’accusa che alla difesa – e il magistrato che svolge le indagini e accusa. Oggi, invece, proprio il fatto di poter passare da un ruolo all’altro renderebbe troppo vicine due funzioni, che nel processo dovrebbero essere distanti. In questo modo il pubblico ministero sarebbe sullo stesso piano dell’avvocato, perché senza alcun legame professionale con il giudice del dibattimento o delle indagini preliminari.

Le ragioni del no

Secondo i contrari, invece, questa commistione non esiste. Portato all’eccesso il ragionamento, infatti, bisognerebbe allora dividere anche i giudici dell’appello da quelli del primo grado, perchè la contiguità professionale potrebbe farli sempre scegliere in favore di confermare le sentenze emesse dai colleghi.

Inoltre, chi vota no ritiene che il quesito crei un rischio: isolare eccessivamente i pm, schiacciandoli a quel punto sulla polizia giudiziaria e poi anche sul potere esecutivo. Inoltre, limitando i passaggi, si ridurrebbe la possibilità di ogni magistrato di arricchire il proprio bagaglio di professionalità attraverso lo svolgimento di funzioni diverse.

A prescindere dall’esito del referendum, questo tema è toccato dalla riforma dell’ordinamento giudiziario in discussione al Senato il 15 giugno. Secondo il testo di riforma già approvato alla Camera, in ogni caso i decreti attuativi del ddl dovranno prevedere che il magistrato possa sì continuare a passare di funzioni, ma solo una volta nell’arco della sua vita professionale ed entro i primi 10 anni di carriera. In questo modo si eviterebbe che una scelta presa appena entrati in ruolo e magari per ragioni diverse dalla propensione ad una funzione rispetto all’altra diventi immodificabile per tutta la carriera del magistrato. 

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