L’iter di approvazione della riforma dell’ordinamento giudiziario era iniziato in salita e in salita sta continuando. Gli emendamenti del governo in commissione Giustizia alla Camera sono stati sommersi da subemendamenti dei partiti, che pure avevano votato a favore del testo all’unanimità in consiglio dei ministri.

L’esito quasi scontato, in seguito a un incontro tra governo e maggioranza, è stato quello di un ulteriore slittamento. La riforma doveva arrivare in aula a Montecitorio il 28 di marzo ma il presidente della commissione, Mario Perantoni, ha la nuova data: l’11 aprile, per dare il tempo al governo di fornire un parere sui 250 sub emendamenti e per prendere in considerazione anche il parere molto critico arrivato dal Consiglio superiore della magistratura, secondo cui la riforma mette a repentaglio l’indipendenza delle toghe.

Il tempo, però, è sempre più stretto: la riforma va approvata entro metà maggio, in modo da rispettare la richiesta del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di eleggere con la nuova legge il prossimo Csm. Rispettare l’impegno però non è facile e il governo sta valutando tutte le possibilità.

Tra queste, anche quella di ritornare indietro sulla scelta di non mettere la fiducia sul ddl. Il premier, Mario Draghi, aveva spiegato la decisione con il fatto di non voler tarpare iniziative parlamentari su un disegno di legge così rilevante nei rapporti tra poteri dello stato. Tuttavia, aveva anche chiesto la massima collaborazione ai partiti, soprattutto dopo il sì unanime in cdm, anticipando che in caso di impasse la fiducia sarebbe stata necessaria.

L’obiettivo della ministra della Giustizia Marta Cartabia è di non arrivare a questo punto di rottura e ha già fissato numerose riunioni. Nella prima, a cui ha preso parte il sottosegretario Francesco Paolo Sisto, si è iniziato a discutere del ruolo dell'avvocatura nei consigli giudiziari e sui giudizi di valutazione per la progressione di carriera dei magistrati, ma il lavoro è iniziato in salita e nessuna sintesi è stata raggiunta.

Tutto aggiornato a lunedì, quando sarà presente di persona la ministra e si cercherà una sintesi che sembra difficilissima. L’ipotesi è anche di collaborare già ora anche con la commissione Giustizia del Senato, in modo che anche l’altro ramo del parlamento possa partecipare alla fase emendativa ma in contemporanea con la Camera, in modo da garantire poi un rapido passaggio a palazzo Madama.

I tre no del ministero

In quest’ottica, Cartabia ha dato un’apertura di massima a ragionare su tutte le parti della riforma oggetto di critica. Con tre paletti, però, su emendamenti che «sollevano dubbi costituzionali»: il sorteggio temperato per eleggere il Csm (voluto dal centrodestra e da Iv), la responsabilità civile diretta dei magistrati (Azione, con aperture del centrodestra) e il divieto dei parlamentari di diventare membri togati del Csm (M5S). Il tema più delicato su cui difficilmente il centrodestra cederà è quello del sorteggio temperato: la legge elettorale è il punto controverso della riforma, che da subito ha diviso sia la magistratura al suo interno che la politica ed è stata il vero punto controverso che ha ritardato l’arrivo degli emendamenti ministeriali in commissione.

L’ennesimo intoppo alla riforma, tuttavia, testimonia come la riforma dell’ordinamento giudiziario – ancor più di riforme sostanziali come quella del penale e del civile – sta toccando corde profonde.

Oltre allo scontro parlamentare, infatti, le resistenze maggiori vengono dalla magistratura stessa, che nel parere del Csm ha contestato più parti del testo, in particolare quella in cui si prevede il voto dei componenti laici nella valutazione dei magistrati. L’orientamento sia del ministero che del governo è quello di rispettare l’impegno preso con Mattarella, ma la corsa contro il tempo rischia di provocare un effetto: quello di annacquare la riforma pur di approvarla.

 

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