Sì, ma anche No. La riforma Nordio spacca gli avvocati

Manca ancora la data del referendum, ma la campagna elettorale è ormai definitivamente cominciata. Obiettivo: intercettare gli indecisi che secondo i sondaggi si aggirano oltre il 20 per cento e i potenziali astenuti che rischiano di essere moltissimi e, se convinti a votare, potrebbero essere determinanti in un referendum senza quorum. Ecco perché uno degli spazi elettorali potenzialmente più aperti – e più contesi – è quello dell’avvocatura: oltre 230mila professionisti (con il conseguente “indotto” di famiglie e gruppi di interesse), la cui collocazione politica è trasversale e che rappresentano la categoria forse più interessata al dibattito e qualificata a comprendere il quesito tecnico della riforma. Se la magistratura – ad esclusione di illustri ex rappresentanti come Antonio Di Pietro – è sostanzialmente tutta schierata per il no, i legali invece sono meno facilmente inquadrabili. A riprova di questo, questa settimana è stata l’occasione di due iniziative opposte, con la nascita sia del coordinamento delle associazioni forensi per il sì, che del comitato degli avvocati per il no. La giustizia che il governo non vede: il futuro incerto dei 12mila funzionari del processo Sì o no La prima iniziativa è stata promossa dall’Organismo congressuale forense e, negli auspici degli organizzatori, dovrebbe essere il modo per permettere che «l’intera avvocatura italiana, penalisti e civilisti, assuma posizione unitaria sulla riforma costituzionale». In effetti al coordinamento hanno aderito alcune tra le principali associazioni forensi: l’Unione nazionale delle camere civili, ovviamente le Camere penali, i giovani avvocati di Aiga, ma anche Movimento Forense, l’Unione italiana forense e l’Anai. All’appello, tuttavia, manca l’Anf (Associazione nazionale forense), storica associazione che si è espressa criticamente sul complesso della riforma, pur condividendo il principio della separazione delle carriere. Sul fronte opposto hanno invece iniziato a muoversi singoli avvocati, come quelli che hanno dato vita al comitato degli “Avvocati per il no”: la testa è a Roma, con il penalista Franco Moretti, ma già sono nate diramazioni in altre città come Milano. A molti dei comitati per il no nati su spinta dell’Anm (che si è mossa per cercare adesioni tra i legali) si sono iscritti anche avvocati, i quali sempre più spesso prendono la parola pubblicamente contro la riforma: è stato il caso dei penalisti Michele Silvieri Gentiloni a Roma e di Giuseppe Iannaccone a Milano. Non solo: i due nomi più in vista del comitato nazionale per il No sono quello di Franco Coppi e di Enrico Grosso, costituzionalista e avvocato. Istituzionalmente neutrale, invece, è rimasto il Consiglio Nazionale Forense, che è l’organo istituzionale dell’avvocatura. Il suo presidente, Francesco Greco, si è pubblicamente esposto a sostegno del sì, tuttavia non c’è stata una presa di posizione ufficiale dell’ente, né l’adesione a un comitato. Differenza sottile, ma che risponde al ruolo del Cnf. A riprova del fatto che il campo dell’avvocatura è ancora più che aperto. Del resto, se la maggioranza degli avvocati è orientata a favore della separazione, molti dubbi solleva invece la creazione di due Csm e prevede il sorteggio per i suoi membri. Una parte, questa, che non era prevista nella proposta delle Camere penali e che può sollevare, tra i legali, dubbi sul disegno politico retrostante. Proprio su questo i sostenitori del no sono decisi a fare leva per strappare al sì almeno quella quota di avvocati orientati al centrosinistra. I comitati del sì e del no al referendum si organizzano