Una gestazione travagliata quella delle riforme in materia di giustizia. Non poteva essere altrimenti nelle condizioni date. Un governo che si avvale del sostegno di forze con opposte idealità non può non incontrare insormontabili difficoltà a promuovere un rinnovamento in grado di restituire alla giustizia razionalità e credibilità.

La necessità di provvedere comunque per ottenere i finanziamenti dell’Europa può aver funzionato da collante, costretto al compromesso. Tuttavia per la giustizia in genere, e penale in ispecie, non basta – come spesso avviene per le scelte in materia economica o sociale – trovare una linea mediana tra posizioni divaricate, concedendo qualcosa sia all’una sia all’altra delle opposte pretese.

La prescrizione

Così facendo il sistema giustizia rischia di perdere coerenza e funzionalità. O, peggio ancora, di sommare gli errori di entrambi i poli dialettici, come talvolta è infatti accaduto.

Pensiamo, ad esempio, all’intervenuta riforma della prescrizione, che resta un’offesa alla retina del giurista: i Cinque stelle volevano che la prescrizione si arrestasse al primo grado? Accontentati! Gli altri partiti della maggioranza pretendevano che rimanesse comunque una dead line temporale per i gradi successivi del processo? Accontentati!

È bastato estrarre dal cilindro l’improcedibilità, che, come saracinesca temporale, è una sorta di prescrizione mutato nomine. La scontro politico è superato, ma si è lasciato alle spalle – per l’implausibile giustapposizione sequenziale di due istituti di natura e implicazioni diverse – un sistema in difficoltà di senso, che non tarderà a produrre inaccettabili disparità di conseguenze.

Smania normalizzatrice

L’altro piano inclinato, su cui rischia di scivolare la pur necessaria e urgente azione riformatrice, è quello costituito dalla malcelata tendenza revanscista di certa politica. Questa smania normalizzatrice, pur se nei confronti di un potere che tanto ha mancato, è foriera di soluzioni emotive che poi, trascorso il tempo dell’indignazione, restano a sfregiare il sistema.

Trent’anni fa, quando la politica era investita da un diffuso discredito e aleggiava l’idea che soltanto la magistratura potesse garantire al paese magnifiche sorti e progressive, a furor di popolo – un popolo “giudiziarizzato” – venne tolto ai parlamentari l’abusato scudo dell’autorizzazione a procedere e venne umiliata la Costituzione inserendo, a mo’ di parziale compensazione, la “giuridicolaggine” dell’autorizzazione a intercettare: un’autorizzazione che l’autorità giudiziaria deve richiedere a centinaia di colleghi del parlamentare prima di sottoporlo al controllo “occulto” delle sue conversazioni. Un atto “segreto con preavviso”.

Rimedi peggiori del male

Sarebbe importante, invece, che nel mettere mano a un settore vitale e sensibilissimo, quale è la funzione giurisdizionale, il legislatore avesse per questa funzione il rispetto che alcuni dei suoi rappresentanti non hanno mostrato di avere. Altrimenti, si rischia di introdurre, pur sulla scia di una fondata indignazione, rimedi peggiori del male da curare.

È, ad esempio, una politica che intende maramaldeggiare con una magistratura fortemente screditata nell’immaginario collettivo, quella che vorrebbe imporre il sorteggio per designare i componenti togati del Csm. Un’umiliazione gratuita, disfunzionale e di assai dubbia costituzionalità. Di più: un inquietante precedente. Ove dovessimo rinunciare alle regole tutte le volte che ne viene fatto cattivo uso, la stessa democrazia vacillerebbe.

Persino i nostri vertici istituzionali risultano talvolta nominati a seguito di mercanteggiamenti degni di un suk, ma a nessuno è ancora venuto in mente di demandare alla sorte la loro scelta. Non accetteremmo di affidare al caso neppure la nomina del sindaco di un piccolo comune.

Soltanto se si saprà intervenire con fermezza e con misura, la magistratura potrà gradualmente recuperare quella credibilità sociale di cui non solo essa, ma la democrazia ha urgente bisogno. Vi è infatti, nell’attuale congiuntura, un’insidia poco avvertita, e per questo pericolosa.

Quando trent’anni fa spirava un vento iconoclasta in qualche modo somigliante all’attuale, sia pure con diverso bersaglio, la magistratura rappresentava, sia pure del tutto impropriamente, l’unica darsena per un paese eticamente alla deriva. Oggi, il discredito in cui questa è sprofondata non è compensato da un recupero di fiducia nella politica. Orfano di una affidabile bussola istituzionale, il paese potrebbe essere tentato di affidare il timone a qualche spavaldo nocchiero, determinato ad allontanarsi dagli sfrangiati lidi della democrazia.

 

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