Nel suo intervento alla Camera il 31 gennaio scorso, il Vicepresidente del Copasir, Giovanni Donzelli (FDI) ha espresso una banalità, e cioè che le formazioni mafiose plaudono allo sciopero della fame intrapreso da alcuni mesi da Cospito per ottenere l’abolizione dell’art. 41 bis. Ha inoltre ventilato un allarme, e cioè che i mafiosi possano appoggiare dall’esterno, al limite con attacchi stragisti, il proposito di Cospito.

Infine ha sostenuto che «Cospito incontrava anche i parlamentari Serracchiani, Verini, Lai e Orlando, che andavano a incoraggiarlo nella battaglia» (resoconto stenografico parlamentare). Quest’ultima non è una conclusione sillogistica né aspira ad esserlo, perché non ha alcun legame logico – sintattico con le premesse. A corto di pertinenti argomenti nei confronti del PD, alla Camera Donzelli si dimostra pignolo sia nel trascrivere fedelmente le conversazioni intercorse tra Cospito e due mafiosi al 41 bis (Francesco Presta e Francesco Di Maio), sia nell’indicare le proprie fonti di conoscenza, i «documenti che sono presenti al Ministero della Giustizia» (resoconto citato). E così che l’implacabile accusatore diventa improvvisamente imputato: chi gli ha fornito tali documenti ministeriali? E tali atti erano e sono ostensibili?

La questione, esclusivamente giuridica, chiama in causa il competente Ministro, Carlo Nordio (FDI). Ma si è interposto immediatamente, tra Donzelli e il Ministro, Andrea Delmastro Delle Vedove (FDI), Sottosegretario alla Giustizia con delega al Corpo di Polizia Penitenziaria, per accollarsi la responsabilità di affermare che il documento citato da Donzelli era accessibile a tutti, sicché egli avrebbe fornito a «qualunque amico» le stesse informazioni somministrate al Donzelli per il suo discorso alla Camera!

Essendo sottosegretario alla Giustizia, sulla materia Delmastro non poteva esprimersi come un quisque de populo e neppure come un collega di partito di Donzelli, perché «i sottosegretari esercitano i compiti ad essi delegati con decreto ministeriale pubblicato nella Gazzetta Ufficiale» e inoltre essi «impegnano la responsabilità politica e i poteri di indirizzo politico dei Ministri» (art. 10 L. 23 agosto 1988, n. 400).

Ma resta fin qui fuori campo, nell’ombra, sebbene già ‘impegnato’ dal sottosegretario, il Ministro. Il quale potrebbe (o dovrebbe?) attendere l’esito dell’inchiesta penale per tempo sollecitata sulla questione e pendente davanti alla Procura capitolina. Ma non potrebbe omettere, intanto e comunque, di accertare se atti segreti ministeriali siano stati illegittimamente propalati all’esterno, al fine d’impedirne l’ulteriore diffusione.

È a questo punto che si verifica la metamorfosi: la questione giuridica si trasforma – più esattamente viene trasfigurata - in questione politica, e più esattamente partitica, in frontale violazione degli artt. 54, 2° e 97, 2° Cost.

Soltanto così è spiegabile, restando tuttavia tecnicamente incomprensibile, il comunicato con cui il Ministro ha sostenuto che «La comparazione tra le dichiarazioni rilasciate dall'onorevole Giovanni Donzelli e la documentazione in atti disvela che l'affermazione testuale dell'onorevole - 'dai documenti che sono presenti al ministero della giustizia' - è da riferirsi ad una scheda di sintesi del Nic (Nucleo investigativo centrale, ndr) non coperta da segreto. Non risultano apposizioni formali di segretezza e neppure ulteriori diverse classificazioni sulla scheda».

Quanto al contenuto dei colloqui tra i detenuti Cospito ed altri, riferiti dall' onorevole Donzelli, Nordio ha precisato che «non sono stati oggetto di un'attività di intercettazione ma frutto di mera attività di vigilanza amministrativa. In conclusione, la natura del documento non rileva e disvela contenuti sottoposti al segreto investigativo o rientranti nella disciplina degli atti classificati». «La rilevata apposizione della dicitura "limitata divulgazione", presente sulla nota di trasmissione della scheda, rappresenta una formulazione che esula dalla materia del segreto di Stato e dalle classifiche di segretezza, disciplinate dalla legge 124/07 e dai Dpcm di attuazione ed esclude che la trasmissione sia assimilabile ad un atto classificato, trattandosi di una mera prassi amministrativa interna in uso al Dap a partire dall'anno 2019, non disciplinata a livello di normazione primaria» (comunicato Ansa).

Al riguardo sia consentito osservare in diritto che le conversazioni tra i detenuti al 41 bis sono diuturnamente monitorate da specializzati agenti della polizia penitenziaria, che ne danno riservatissima comunicazione ai loro superiori gerarchici e alle competenti Autorità, soprattutto al fine di valutare la condotta dei detenuti e prevenire per tempo gravissimi reati e progetti criminali.

E niente esclude cha il contenuto di tali relazioni inneschi indagini investigative penali. Orbene, se proprio i destinatari e i custodi di tali relazioni ne pubblichino invece il contenuto, rivelando i reconditi disegni dei detenuti al 41 bis, risulterebbe vanificata l’essenza stessa del trattamento ex art. 41 bis, siccome volto ad isolare il detenuto dall’associazione criminale.

Nella specie infatti le riservate interlocuzioni tra Cospito e i mafiosi sono state oggettivamente comunicate ai loro rispettivi sodali - ad opera del sottosegretario Delmastro e di Donzelli - all’esterno del carcere di ...massima sicurezza! Pertanto non è condivisibile l’affermazione secondo cui lecitamente l’on Delmastro poteva esternare ai propri amici le conversazioni dei detenuti al 41 bis, poi testualmente diffuse dal Donzelli: è un ossimoro un carcere ‘duro’ e trasparente.

Viene in rilievo non tanto il segreto di stato (regolato dalla legge 124/07), ma il segreto d’ufficio previsto per i pubblici dipendenti dall’art. 15 D.P.R. n. 3 del 10 gennaio 1957, la cui violazione è sanzionata dall’art. 326 c.p., in una fattispecie paradigmatica, in cui di per sé lo specifico trattamento carcerario presuppone ed impone il più rigoroso isolamento dei detenuti. Il ministro Nordio, che tra l’altro dispone il particolare trattamento, ha invece offerto copertura alle combinate esternazioni dei due protagonisti della vicenda sicché, a suo avviso, l’on. Delmastro potrebbe continuare a disvelare a «qualunque amico» le relazioni di servizio anzidette, come ha pubblicamente sostenuto.

Ma la Procura della Repubblica di Roma condivide tale indirizzo giuridico?

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