Il presidente Anm, Parodi: «Non scioperiamo contro qualcuno ma per difendere la Costituzione». Il successo di partecipazione. Vertice della premier con Nordio e i vicepremier: «Disponibilità a un confronto costruttivo», ma solo sulle leggi attuative del sorteggio
Costituzione in mano, coccarda tricolore al bavero e toga sopra i cappotti: a Roma il sole è quasi primaverile, ma fa freddo all’ombra del Palazzaccio di piazza Cavour. I magistrati si sono dati appuntamento sui gradoni davanti alla Cassazione circondata dalle impalcature per dare il via allo sciopero proclamato dall’Associazione nazionale magistrati contro la riforma costituzionale della giustizia voluta dal governo Meloni.
Il presidente dell’Associazione Cesare Parodi, espressione dei conservatori di Magistratura indipendente, ha ribadito le ragioni delle toghe: «Non è uno sciopero contro qualcuno ma a difesa di una serie di principi della Costituzione in cui fermamente crediamo e che sono fondamentali per i cittadini. E' tutto fuorchè una difesa di casta. Noi non difendiamo nessun privilegio», e ancora «in molti avvertiamo il rischio concreto che il pubblico ministero possa essere condizionabile e condizionato dall'Esecutivo e dai poteri forti». La linea del presidente, tuttavia, è di tenere aperta la porta del dialogo, in particolare in vista dell’incontro del 5 marzo già calendarizzato con la premier Giorgia Meloni e con il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che in quella giornata incontreranno anche gli avvocati delle Camere penali. «Dobbiamo parlare con tutti, essere credibili, far capire che la nostra battaglia è davvero in favore dei cittadini», è il ragionamento di Parodi.
La giornata è densa di impegni: dopo il flash mob in piazza, poi l’assemblea al cinema Adriano. La sala sola da trecento posti non è bastata, se ne è dovuta aprire un’altra per ospitare tutti i presenti. Manifestazioni analoghe poi si sono tenute in tutta Italia per dire no alla separazione delle carriere, la creazione di due Csm e una Alta corte disciplinare e il sorteggio di tutti i membri.
Per tutta la mattina tra i partecipanti però è serpeggiata una sola domanda: «Quanti siamo?». Nonostante i buoni pronostici della vigilia, infatti, il timore era quello di replicare il flop del 2022 contro la riforma Cartabia con meno del 50 per cento di adesioni. A metà pomeriggio il sospiro di sollievo, quando il segretario dell’Anm Rocco Maruotti ha dato il numero definitivo: «L’adesione allo sciopero è intorno all’80 per cento».
Il sentimento finale è quello del successo raggiunto grazie alla buona volontà di tutti: tutti i gruppi associativi insieme, infatti, hanno lavorato per far riuscire l’iniziativa unitaria - la prima sotto la guida del neo presidente Parodi – e dare un segnale di solidità agli interlocutori istituzionali in vista del 5 marzo.
«Il punto è cosa si andrà a dire in quell’occasione», ragiona infatti una toga progressista. Parodi, infatti, appartiene alle toghe più moderate anche nei confronti del governo e le sue prime uscite pubbliche molto diplomatiche nei confronti dell’esecutivo hanno fatto alzare più di un sopracciglio tra i duri e puri. Tuttavia, ora l’imperativo è abbassare i toni. «È presidente da poco, deve solo crescere. Anche Santalucia (l’ex presidente in quota Area ndr) all’inizio non piaceva a tutti, poi è stato capace di unirci», spiega un altro magistrato d’area.
Non c’è solo l’incontro con il governo ad agitare le toghe, però. Lo sciopero «dovrebbe essere il primo passo per parlare alla cittadinanza», spiega un magistrato conservatore, «il timore è che questo non passi ma rimanga un dibattito da addetti ai lavori». Tradotto: la riforma è ormai incardinata e la mobilitazione servirà in vista del referendum costituzionale, dove i cittadini andranno mobilitati in favore della magistratura. Esercizio tutt’altro che facile.
Il governo
Intanto, il governo è rimasto a guardare. In contemporanea con lo sciopero, la premier ha tenuto un vertice con il sottosegretario Alfredo Mantovano, i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, il guardasigilli Nordio, il leader di Noi moderati Maurizio Lupi, il presidente della commissione Affari costituzionali della Camera Nazario Pagano e delle commissioni giustizia di Camera e Senato, Ciro Maschio e Giulia Bongiorno. Al centro, proprio la riforma costituzionale della giustizia. Da palazzo Chigi è trapelato un messaggio dai toni decisamente diversi rispetto alle ultime settimane, ma in linea con il prudente ammorbidimento dopo la nomina di Parodi alla guida dell’Anm.
«Disponibilità a un confronto costruttivo» con l’Anm, perché la riforma «non è concepita contro i magistrati, ma nell'interesse dei cittadini». L’interrogativo, però, è su che cosa ci si possa confrontare, visto che la riforma è già stata approvata in prima lettura e corre veloce, forte del fatto di essere l’unica condivisa dentro la maggioranza. «Il testo è blindato», confermano fonti di governo, tuttavia «si più discutere su come scrivere le leggi ordinarie che le daranno attuazione». In altre parole, nulla da fare sulla separazione delle carriere ma ci saranno aperture per “temperare” il sorteggio nei due Csm sia per i laici che per i togati, con attenzione anche per le quote rosa.
Intanto, la linea è quella di tenere a zero le polemiche in vista dell’incontro calendarizzato, che viene considerato uno snodo strategico. Il ministro Nordio è pronto a partire per un viaggio istituzionale in Sud America che lo terrà lontano dalle questioni italiane fino a quel momento e anche Meloni non intende cadere in nuovi scontri. «Non è il momento di alzare altri muri», si ripete nel centrodestra, nonostante il malcelato fastidio per lo sciopero. Tanto il cuore della riforma è blindato.
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