Il Governo ha avviato l’esame del «Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e delle disposizioni volte ad assicurarne l’attuazione».

Il Piano dovrebbe tendere a sostenere «le riforme e gli investimenti, anche in vista della transizione verde e digitale, al fine di agevolare una ripresa duratura, sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico, di migliorare la resilienza delle economie dell’Unione e di ridurre le divergenze economiche fra gli Stati membri».

In riferimento alla giustizia, il Piano dovrebbe tendere a «migliorare le prestazioni degli Uffici giudiziari, riducendo la durata del processo ed evitando che si generi nuovo arretrato agendo sull’organizzazione giudiziaria», a «favorire la digitalizzazione per incrementare la capacità del sistema di rispondere alla domanda degli utenti e potenziare la tracciabilità delle procedure», a «potenziare le strutture materiali e la logistica della giustizia».

Sennonché l’attuazione di questi buoni propositi presuppone una compiuta ricognizione dell’esistente ovvero una valutazione di impatto ambientale.

Il processo telematico

In riferimento all’adeguamento della disciplina processuale al processo telematico, sarebbe necessario rivedere preliminarmente tutta la disciplina delle comunicazioni tra i soggetti del processo, stabilire che la forma ordinaria delle comunicazioni e delle notificazioni è la posta elettronica certificata, abolire ogni ipotesi di comunicazione mediante «biglietto di cancelleria», rivedere tutte le disposizioni sulla decorrenza dei termini per le impugnazione o per i rimedi di volta in volta previsti contro i provvedimenti notificati o comunicati dalla cancelleria, nonché quelle che impongono l’elezione di domicilio nel comune dove ha sede l’ufficio giudiziario.

Questa opera preliminare di pulizia di basso profilo costituisce il presupposto dell’attività diretta all’adeguamento della intera normativa processuale al processo telematico.

Gli utenti della giustizia non sono interessati ai giochi di pazienza imposti dalle questioni di coordinamento e di adeguamento della normativa ordinaria con quella tecnica. Queste hanno suscitato un intenso e vivace dibattito ed hanno richiesto, più volte, l’intervento del più autorevole collegio della Cassazione nell’esercizio delle funzioni di nomofilachia.

Soltanto in un secondo momento, appare possibile ripensare alla logica dei registri di cancelleria  realizzare l’integrale dematerializzazione dei fascicoli e realizzare un sistema virtuale che consenta l’archiviazione ed il trasferimento degli atti e dei provvedimenti ed orientare l’attenzione sulle prospettive aperte dalla drammatica esperienza dell’emergenza sanitaria sui rapporti tra processo e tecnologia.

La riforma del processo civile

In riferimento al processo e, in particolare, al processo civile, il Piano richiama il disegno di legge delega, pendente al Senato (AS 1662) e già oggetto di ampio dibattito. Si ricorda che la proposta è diretta alla «semplificazione e razionalizzazione delle fasi del processo al fine di incidere sui tempi di durata, sia di primo grado che di appello», mediante «l’introduzione di un rito semplificato e accelerato», «la riduzione del numero dei casi in cui la competenza è attribuita al tribunale in composizione collegiale», «la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie», «il rafforzamento dei doveri di leale collaborazione delle parti e dei terzi ed il riconoscimento dell’amministrazione della giustizia quale soggetto danneggiato nei casi di responsabilità aggravata per lite temeraria».

Sennonché, anche l’attuazione di questi buoni propositi presuppone una ricognizione dell’esistente. E presuppone altresì la previsione di regole predeterminate, perché l’affidamento della gestione del processo all’estro momentaneo del giudice significa la rinuncia alla formulazione di un progetto, rischia di pregiudicare il principio di uguaglianza e non è risolutivo. L’affidamento delle regole del processo alla fantasia del giudicante determina la prevalenza delle regole della appartenenza: i giudici, unici responsabili dell’efficienza del sistema, sarebbero esposti ad ogni pressione.

L’affidamento alla fantasia del giudicante

Secondo il Piano, «l’introduzione di un rito semplificato e accelerato», implica il passaggio «da tre riti (giudice di pace, monocratico ordinario e monocratico sommario) ad un unico rito, con discussione conclusiva orale e semplificazione anche dell’appello».

Il Piano e la proposta di legge, tuttavia, non considerano il processo di cui agli artt. 414 ss. c.p.c., applicabile alle controversie di lavoro, privato e pubblico, alle controversie previdenziali, a quelle locatizie, a quelle agrarie, alle opposizioni alle sanzioni amministrative; aboliscono le attuali disposizioni ma adeguano ed estendono la disciplina del procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702 bis ss. c.p.c.; prescindono dalla diffusione del procedimento camerale di cui agli artt. 737 ss. c.p.c. e delle sue numerose varianti nelle materie contenziose, soprattutto in materia di famiglia e nell’ambito delle procedure concorsuali.

Nel procedimento sommario, il giudice ha il potere di regolare il processo «nel modo che ritiene più opportuno». Nel procedimento camerale il giudice decide «assunte sommarie informazioni».

Nell’ambito del dibattito sulla proposta di legge ricordata nel Piano all’esame del Governo, l’Associazione Italiana tra gli Studiosi del Processo Civile (AISPC) ha ricordato che «pur nell’ottica di semplificazione delle regole e di perseguimento dell’obiettivo della ragionevole durata, è necessario assicurare la predeterminazione delle regole del processo, il quale, come afferma la Carta costituzionale, è “giusto” se “regolato dalla legge”».

Nelle ipotesi in cui, invece, è imposta l’applicazione del procedimento sommario di cognizione o del procedimento camerale, la determinazione delle regole del processo è affidata alla discrezione del giudice senza alcuna possibilità di accesso ad un processo con regole predeterminate.

Nel procedimento sommario ed in quello camerale, le parti sono soggette ai poteri discrezionali del giudice.

Servono regole chiare

Questa soluzione è ritenuta legittima dalla Corte costituzionale, che, tuttavia, nelle motivazioni, ha sempre indicato le regole, inderogabili, del processo. E sulla stessa linea è orientata la Cassazione.

Il che impone agli operatori ed agli interpreti l’individuazione e la ricostruzione delle garanzie procedimentali minime per il funzionamento del processo in base ai principii generali deducibili dalla Costituzione, dalla Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo (CEDU) e dal Trattato sull’Unione Europea. Alcuni uffici giudiziari indicano, mediante linee guida, circolari o protocolli i criterii di applicazione dei poteri discrezionali nella gestione del processo. Nella maggior parte degli uffici, lo svolgimento del processo è affidato alla discrezione del giudicante.

Il processo deve garantire il bilanciamento tra il diritto di azione e il diritto alla difesa, in base a regole predeterminate. Le proposte dirette alla modificazione di queste ultime presuppongono che il proponente ne abbia conoscenza, che abbia piena consapevolezza della normativa che intende riformare.

Altrimenti la proposta di riforma si manifesta come un mero slogan o l’enunciazione di buoni propositi e rischia di suscitare nuovi e maggiori problemi di coordinamento.

Chi utilizza un veicolo vuole arrivare alla meta. Chi studia il processo è il meccanico. L’analisi del funzionamento del processo non può prescindere da questioni tecniche, dal rapporto tra obiettivi e mezzi, tra mete e percorsi. L’attenzione agli aspetti tecnici e formali può suscitare noia e fastidio.

Costituisce, tuttavia, il presupposto essenziale di ogni riforma, affinché questa non si traduca in un un ennesimo gioco di pazienza, che può giovare allo sviluppo dell’editoria giuridica e, superata l’emergenza sanitaria, anche al turismo processuale, ma sembra ragionevole dubitare che possa offrire un contributo all’efficienza della giustizia.

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