Verdetti comprati, 'ndranghetisti accusati di omicidio assolti, un avvocato sindaco che resta al suo posto. È la sintesi del caso delle sentenze pilotate che oltre a minare ulteriormente la credibilità del potere giudiziario racconta anche di una battaglia tra pubblici ministeri e giudici che ora arriva fino in Cassazione.

La procura di Salerno, guidata dal procuratore Giuseppe Borrelli, sta facendo luce su una mefitica pratica di corruzione che coinvolge magistrati e avvocati calabresi volta a favorire pericolosi uomini di 'ndrangheta, ma la richiesta cautelare della distrettuale antimafia campana è al centro di uno scontro con la difesa e di giudizi contraddittori dei giudici.

Il sindaco avvocato

Marcello Manna è sindaco di Rende, in provincia di Cosenza, presidente dell'Anci calabrese, l'associazione che riunisce i comuni, ma è anche avvocato. È indagato per corruzione e lo scorso anno la procura di Salerno ha chiesto il suo arresto perché avrebbe corrotto Marco Petrini, quando quest'ultimo era presidente della Corte di assise d'appello di Catanzaro (già condannato per corruzione in giudizio abbreviato per un altro episodio).

Petrini era chiamato a giudicare in secondo grado l'imputato Francesco Patitucci che era stato condannato, nel giudizio abbreviato, a 30 anni di carcere per omicidio. Nel 2019, il 30 maggio, «Petrini riceveva a titolo corruttivo dalle mani dell'avvocato Marcello Manna, difensore del predetto imputato, e quale corrispettivo dell'assoluzione di costui nel giudizio di appello, la somma di euro 5 mila», si legge nelle carte giudiziarie.

Viene descritta la modalità di consegna della 'mazzetta', all'interno di una busta da lettera contenuta in una cartellina da studio nel suo ufficio presso la Corte d'appello di Catanzaro, consegna immortalata anche dalle immagini riprese dalle telecamere piazzate dalla guardia di finanza.

Le indagini ricostruiscono anche un'altra contropartita richiesta dal giudice all'avvocato Manna quella di intervenire presso Giuseppe Citrigno, presidente della fondazione Calabaria Film Commission «per l'attribuzione del contributo per l'attrazione e il sostegno di produzioni televisive nazionali nel territorio della regione Calabria (…) in relazione al lungometraggio realizzato da Vitale (cugino della moglie di Petrini, ndr) il quale otteneva il detto contributo per un importo pari a 175 mila euro».

Il finanziamento veniva accordato e l'imputato Francesco Patitucci, membro dell'omonimo clan, veniva assolto in secondo grado come richiesto dall'avvocato, ritenuto dalla pubblica accusa, corruttore. Contestazioni che Manna respinge al mittente negando ogni addebito.

La procura di Salerno, per questi fatti, ha chiesto una misura di custodia cautelare in carcere per l'avvocato Manna che, lo scorso settembre, è stata respinta dal giudice per le indagini preliminari.

Così la procura ha presentato ricorso al tribunale del riesame che ha accolto in parte l'appello disponendo una misura interdittiva a carico di Marcello Manna, il divieto a esercitare l'attività forense per 12 mesi, ma escludendo l'aggravante di aver favorito la cosca Patitucci, egemone a Cosenza. Una misura, molto più blanda rispetto all'arresto in carcere, che non è eseguibile fino al giudizio della corte di Cassazione e quindi l'avvocato Manna continua a fare l'avvocato e anche il sindaco di Rende.

Le carte del Riesame

Ma come si è giunti a questa decisione? Nell’ordinanza dei giudici del riesame viene ricostruita la vicenda e lo scontro tra procura e giudice per le indagini preliminari in merito alla possibilità di Manna di reiterare il reato. Nel ricorso della pubblica accusa contro la decisione del gip, i pubblici ministeri scrivono, riportando alcune intercettazioni, che laddove «se ne ripresenterà l’occasione Manna sarà capace di reiterare la condotta criminosa».

La pubblica accusa aggiunge anche i consolidati rapporti di Manna con il capo clan Francesco Patitucci emersi da diverse telefonate nelle quali i due «usavano chiamarsi in modo molto familiare». Nel ricorso i pm definiscono «spregiudicato» il comportamento di Manna. Al tribunale del riesame così vengono depositate le memorie della difesa e le controdeduzioni del pubblico ministero.

Vengono riportati alcuni passaggi di intercettazioni effettuate sull’utenza di Manna dove si evince che già nel febbraio 2020 «questi aveva contezza dell’esistenza di un video che riprendeva il suo incontro con Petrini, tratto in arresto nel gennaio 2020) e la consegna di una busta e che, pertanto era consapevole di essere, verosimilmente, sottoposto a indagini e intercettazioni», si legge nell’ordinanza del riesame. Il dato emerge dalle conversazioni con l’avvocato Giandomenico Caiazza (totalmente estraneo al procedimento), presidente dell’unione camere penali, di cui era componente Manna.

L’ordinanza dei giudici del riesame cita le parole del collaboratore di giustizia Adolfo Foggetti in merito a un presunto appoggio elettorale offerto dal suo gruppo criminale a Manna, nel 2014, per le comunali a Rende. Viene ricostruito anche il ruolo del boss Francesco Patitucci nel contesto criminale cosentino.

Un materiale giudiziario corposo che porta i giudici del riesame a ritenere il pericolo di reiterazione del reato di Manna concreto e attuale, ma cade l’aggravante per mafia. Per questa ragione secondo i giudici del riesame bisogna respingere la richiesta di arresto applicando a Manna unicamente l’interdizione per 12 mesi dall’attività di avvocato. 

La difesa di Manna

Manna, difeso dall'avvocato Paolo Carbone, contesta interamente la ricostruzione. «Abbiamo presentato ricorso e aspettiamo con fiducia il giudizio della corte di Cassazione», dice il penalista.

La difesa evidenzia un buco nella riproduzione del video, di tre ore, tra la consegna della cartellina e la conta delle banconote da 50 euro, evidenzia le diverse versioni fornite da Petrini in sede di interrogatorio e respinge ogni addebito a partire proprio dalla consegna dei soldi.

Sulla consegna della mazzetta la procura ha disposto una consulenza tecnica che ha accertato che lo spessore, il rigonfiamento, della cartellina corrisponde proprio alla presenza all'interno della busta di 100 banconote da 50 euro, e che non risultano prelievi di cifre analoghe nei giorni precedenti da parte di Petrini. 

Il tribunale del riesame conferma la versione della procura, ma assegna un punto alla difesa, facendo cadere l'aggravante per mafia, oggetto del ricorso della pubblica accusa. Ora la partita si posta in corte di Cassazione. 

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