La lotta contro i siti sessisti: la cultura non si cambia solo rafforzando le norme

I casi relativi al forum Phica.eu e alla pagina Facebook Mia Moglie hanno mostrato alcune lacune dell’ordinamento italiano riguardo alla diffusione digitale di contenuti illeciti. Lacune che emergono dal confronto tra la normativa nazionale e la direttiva europea sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, effettuato di recente dall’Ufficio del massimario della Corte di cassazione. Phica, inchiesta a Roma: il sito sessista è torbido anche su spot e profitti I limiti delle norme italiane Con il cosiddetto Codice rosso è stato introdotto il reato di revenge porn: è punito chi realizza, sottrae o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate. Ma la norma presenta dei limiti, come mostrano i citati casi di cronaca. Innanzitutto, essa si riferisce solo ai contenuti sessualmente espliciti, escludendo così la diffusione immagini intime che, pur non essendo pornografiche, ledono comunque la sfera privata; inoltre, distingue tra chi pubblica originariamente certi contenuti e chi li rilancia, punendo i secondi solo se è provato lo specifico fine di recare danno. Fine che non è agevole dimostrare e che, soprattutto, lascia scoperti i casi di condivisione fatta con superficialità, ma ugualmente devastante per chi ne è vittima. Un altro nodo riguarda i deepfake, immagini manipolate, che su Phica.eu modificavano e ricreavano digitalmente corpi e volti in contesti sessuali. La disciplina nazionale non li menziona, e per tutelarsi si ricorre a disposizioni nate per altre ipotesi: diffamazione aggravata (art. 595 c.p.), quando l’immagine falsa è offensiva della reputazione; trattamento illecito di dati personali, se dati biometrici o visivi sono stati manipolati senza consenso (art. 9 GDPR e art. 167 Codice privacy); sostituzione di persona (art. 494 c.p.), quando il volto della vittima è usato per attribuirle atti mai compiuti; il citato revenge porn, con un’interpretazione estensiva della relativa norma. La tutela resta, in questo modo, indiretta e frammentaria, e può sfociare in esiti non omogenei. Inoltre, la denuncia della vittima è requisito necessario per la procedibilità, salvo alcune eccezioni, ma non sempre si ha la forza di esporsi pubblicamente o di proseguire l’iter giudiziario. L’uomo nell’ombra, chi è l’italiano dietro al sito sessista Phica La direttiva sulla violenza contro le donne La direttiva Ue 2024/1385 colma le lacune rilevate. Pertanto, anziché parlare genericamente di nuovi interventi normativi, come la politica usa fare, basterebbe recepirla (il termine è giugno 2027). L’art. 5 obbliga gli stati a perseguire penalmente non solo la diffusione non consensuale di immagini intime, ma anche la creazione e condivisione di deepfake a sfondo sessuale e le minacce di pubblicazione (sextortion). In particolare, a differenza della disciplina italiana, la direttiva non richiede che il contenuto sia “sessualmente esplicito”, basta che sia intimo e usato senza consenso; non serve dimostrare che chi lo rilancia abbia l’intento di recare un danno; il deepfake porn diventa oggetto di una tutela diretta e specifica; le indagini o l'azione penale non vanno subordinate alla denuncia della vittima e devono proseguire d’ufficio anche in caso di suo ritiro. La direttiva prevede altresì che la denuncia stessa possa avvenire attraverso canali accessibili e di facile utilizzo da parte della vittima, come la segnalazione online. Inoltre, gli stati membri devono adottare le misure necessarie per la rimozione rapida dei contenuti online illeciti o la disattivazione dell'accesso a tale materiale, con la possibilità di ordini vincolanti emessi dalle autorità competenti, nel rispetto del Digital services act. In Italia, la disciplina attuale già prevede l’inoltro da parte della vittima di revenge porn di una segnalazione al Garante per la protezione dei dati personali, che entro 48 ore può adottare un provvedimento d’urgenza per bloccare o rimuovere i contenuti in questione. Da Gisèle Pelicot al gruppo “Mia moglie”. Non sono le vittime a doversi vergognare La soluzione non normativa In occasione dei recenti casi di cronaca, il Garante ha ribadito la centralità del consenso, anche se immagini o altre informazioni personali siano già state rese pubbliche a fini diversi. Il consenso non è solo un principio giuridico, ma pure un tema connesso alla cultura della parità di genere e del rispetto. E, anche se è importante avere una normativa quanto più completa, la cultura non si cambia per legge. Peccato che, nonostante i casi citati, campagne di sensibilizzazione o programmi educativi sull’equilibrio nelle relazioni non sembrano soluzioni allo studio da parte del governo. Il gruppo “Mia moglie”: il paese dove il patriarcato è un regime della mente