Il ddl penale è stato assorbito da una sola questione: la riforma della prescrizione. E’ su questo che si è concentrata anche gran parte delle audizioni, che continuano a svolgersi in commissione Giustizia alla Camera prima dell’approdo del testo in aula. Eppure la prescrizione come costruita dal governo non risolve il grande problema dell’eccessiva durata dei processi, secondo il penalista romano ed ex presidente dell’Unione camere penali italiane, Valerio Spigarelli. Per farlo, bisognerebbe intervenire principalmente sull’obbligatorietà dell’azione penale.

Perchè si discute solo di prescrizione?

Perchè è diventata una bandiera politica, impugnata spargendo retorica e anche informazioni inesatte.

Quali sono le inesattezze?

Tutti sanno benissimo che i motivi per cui i processi si prescrivono non sono legati alla procedura, basta guardare i dati. Il maggior numero di prescrizioni matura nel corso delle indagini preliminari, quindi prima che si celebri il processo e prima che gli avvocati possano toccare palla.

C’è chi obietta, però, che le lungaggini architettate dagli avvocati permettano di far scattare la prescrizione, prima quella sostanziale e oggi quella processuale in appello.

E’ una affermazione fondata sull’ignoranza sia della giurisprudenza che delle norme processuali. Ogni richiesta di legittimo impedimento che riguardi l’assistito o il difensore, ma anche le richieste di ricusazione, provocano una stasi del decorso della prescrizione.

Qualche escamotage potrebbe essere trovato con i due anni tassativi previsti per l’appello e l’uno per la cassazione?

In appello i tempi sono brevissimi perchè si tratta di un grado di giudizio che effettua un controllo di merito su una sentenza già emanata, dunque tendenzialmente si risolve in una sola udienza di discussione, che al massimo può essere dilazionata di più udienze se particolarmente gravosa.  In Cassazione si tratta di un falso problema perchè viene dichiarato inammissibile più del 60 per cento dei ricorsi presentati e quelli ammessi vengono smaltiti in un tempo inferiore agli otto mesi dettati dai desideri dell’Ue.

Nessuna possibilità di allungamento dei tempi, quindi?

L’unico che potrebbe portare all’allungamento dei tempi dell’appello è il caso della richiesta di rinnovazione del dibattimento. Tuttavia si tratta di una richiesta accolta in via eccezionale e solo se ritenuta indispensabile. In questo caso, in appello possono essere sentiti nuovamente alcuni testimoni, si può rinnovare una perizia e dunque servono più udienze. Tutto, però, passa per il vaglio del giudice.

Eppure la prescrizione in alcuni casi scatta e i processi in Italia durano molto più che nel resto d’Europa. Quali cause ha questo allungamento dei tempi?

Il tempi dei processi sono determinati da due diversi aspetti. Il primo sono le carenze della macchina organizzativa, basti pensare che a Roma il tribunale penale e la corte d’appello distano 50 metri ma un fascicolo per passare da un palazzo all’altro impiega un anno. Il secondo è un problema di carico generale, causato dall’obbligatorietà dell’azione penale.

Il ddl penale, preso nel suo complesso, affronta questi aspetti?

La commissione Lattanzi li ha messi sul tavolo. Ha rilevato che non tutte le corti d’appello hanno problemi di smistamento: comparando corti simili per dimensioni, emerge che alcune hanno tempi più che accettabili e altre no e questo dimostra che il problema è la cattiva organizzazione. Quanto all’obbligatorietà dell’azione penale, per sturare un sistema intasato è necessario un filtro a monte che ingolfi di meno la macchina giudiziaria e si era immaginato di introdurre forme di discrezionalità controllata.

Poi però non sono confluite nel testo definitivo.

No, per questo penso che il ddl penale sia un’occasione mancata, che anzi solleva in me alcuni timori. Non ultimo quello che, a causa della prescrizione processuale nel grado d’appello, diventerà ancora più raro e difficile vedere accolta la richiesta di rinnovare il dibattimento. 

Teme una contrazione del diritto di difesa?

Sono pronto a scommettere che la tagliola dei due anni in appello si tradurrà in una giurisprudenza restrittiva per la difesa, con una riduzione ulteriore dei casi di rinnovazione dibattimentale.

In pochi anni, la prescrizione è cambiata tre volte: riforma Orlando, riforma Bonafede e ora quella di Cartabia. Lei quale preferisce?

Piu razionale era quella di Orlando perchè manteneva l’istituto della prescrizione sostanziale, a cui inseriva dei periodi di sospensione. Sia pure forse troppo ampi.

Quella attuale non la convince, quindi?

Quella attuale è una sorta di riforma Orlando, camuffata per motivi politici perchè bisognava permettere ai Cinque stelle di dire che la prescrizione rimane stoppata dopo il primo grado. Il risultato è un ibrido a due teste, con la prescrizione sia sostanziale che processuale che – temo – provocherà grossi problemi.

Per esempio?

Se si ritiene che la norma sulla prescrizione in appello e in cassazione sia di tipo processuale, allora vale il principio del “tempus regit actum”, ovvero che l’atto è regolato dalla legge vigente. Risultato: l’istituto processuale si applica anche ai procedimenti passati e anche nel caso in cui ciò sia sfavorevole. Il tutto potrebbe produrre ricorsi alla Corte costituzionale, che potrebbe dover valutare se la prescrizione, pur essendo processuale, provochi effetti sostanziali e quindi non valga il “tempus segit actum”. 

Come si sarebbe potuto evitare questo problema?

Nel modo più semplice per l’ordinamento ma impossibile per la politica: ripristinando la prescrizione sostanziale e calibrando le sospensioni come faceva la legge Orlando.

Tra i problemi della riforma Cartabia, qualcuno sottolinea anche il fatto che, in astratto, il processo di primo grado potrebbe svolgersi in tempi rapidissimi ma poi potrebbe prescriversi comunque per colpa di appello e cassazione, anche prima del termine di prescrizione sostanziale che si interrompe col primo grado.

Ma potrebbe succedere anche il contrario. Prendiamo un reato con un tempo di prescrizione molto lungo come l’estorsione: la sentenza di primo grado arriva dopo 10 anni meno un giorno e quindi la prescrizione non scatta, così ai 10 anni se ne sommano altri tre tra appello e cassazione. 

Quale sarebbe la soluzione migliore in assoluto, secondo lei?

Partendo dalla riforma Orlando, si sarebbe dovuto calcolare quale è la congrua durata di un processo, calcolata però a partire dalle indagini preliminari e fino alla sentenza passata in giudicato. L’errore è stato quello di dividere e fissare i tempi per fasi processuali.

Prendendo il ddl penale nel suo complesso, si ridurrà la durata dei processi?

Non credo. Per me esiste un errore di fondo: questo governo ripete che sta facendo riforme epocali, allora questo era il momento di una riforma costituzionale. L’eccessiva durata dei processi è causata dall’obbligatorietà dell’azione penale e più in generale da uno squilibrio del sistema processuale, che si possono correggere solo mettendo mando alla Costituzione.

Le si può obiettare che non ci sono i tempi per come chiesti dall’Ue.

Io credo che, se fosse esistita la stessa determinazione politica che Mario Draghi ha usato su altre questioni , una soluzione come quella della riforma costituzionale avrebbe risolto una volta per tutte il problema dei tempi della giustizia. E l’Europa non si sarebbe certo messa di traverso, bloccando i fondi del Recovery.

Che cosa imputa a questo governo, quindi?

La mancanza di coraggio nel seguire le indicazioni corrette che la commissione Lattanzi aveva dato. Un coraggio politico che temo mancherà anche su un altro aspetto: per far ripartire sistema come quello della giustizia, bisogna prima svuotarlo e ripulirlo. In due parole, servirebbero un’amnistia e anche un indulto, viste le condizioni delle nostre carceri. Ma dubito che si faranno.

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