C’è un piccolo mistero nel viaggio istituzionale della ministra della Giustizia, Marta Cartabia, in America. La tre giorni tra New York e Washington è fitta di incontri strategici – utili in vista di un’elezione importante per gli equilibri atlantici come quella del capo dello stato – ma uno di questi è strategicamente saltato a viaggio già cominciato.

Secondo l’agenda diffusa sabato dal ministero Cartabia avrebbe dovuto incontrare Jim Jordan, che sulla carta è un semplice deputato repubblicano membro della commissione Giustizia, ma nei fatti è soprattutto uno dei più ferventi sostenitori di Trump, nonché uno dei testimoni ascoltati nella commissione nell’inchiesta della Casa Bianca sull’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio scorso. Ha risposto in modo vago alle domande sui suoi contatti telefonici con Trump nel giorno dell’attacco e ha votato contro la risoluzione per incriminare i testimoni che si sono rifiutati di comparire davanti al Congresso.

Fra questi c’è Steve Bannon, che proprio ieri si è consegnato all’Fbi. Jordan è stato il capo, e oggi è il numero due, del Freedom Caucus, la più oltranzista fra le correnti repubblicane al Congresso, dalla quale Trump ha tratto molti fra i suoi consiglieri più stretti. Nessun gruppo ha combattuto più strenuamente per difendere l’ex presidente dalle procedure di impeachment, e chi si è opposto agli ordini è stato prontamente espulso.

Jordan è un campione del trumpismo più impresentabile e fra una decina di giorni verrà pubblicato un suo libro nel quale difende l’operato del presidente che ha «prosciugato la palude», come recitava lo slogan trumpiano. Quella con Jordan non è esattamente la foto che la ministra più tecnica del governo avrebbe voluto avere in bacheca quando si tratterà di correre verso più alte ambizioni. Rimane il mistero su come un nome così politicamente tossico sia potuto finire nell’agenda della ministra, poi emendata in gran fretta quando la delegazione era già negli Stati Uniti.

Gli incontri strategici

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Il resto del programma americano è stato cesellato per essere un tour di altissimo livello che lasci il segno Oltreoceano, oltre che nella memoria di chi in Italia cerca sponda con Washington e viceversa. Il punto più alto è l’incontro programmato per oggi con il vertice della Corte suprema, John Roberts.

Se l’appuntamento con il suo omologo americano alla Giustizia Merrick Garland rispecchia la ritualità istituzionale, quello con Roberts è un evento più unico che raro. Il chief justice, vertice della giustizia statunitense e considerato il giurista più importante degli ultimi decenni, non apre le porte della Corte suprema per chiunque: ministro di paese alleato o meno.

Formalmente conteggiato fra i conservatori, si è distinto per la sua volontà di mediazione: lo scorso anno, ad esempio, ha votato una sentenza a favore dei diritti Lgbt dopo essersi espresso in modo contrario nella storica decisione con cui la corte ha reso legale il matrimonio gay nel 2015.

È rimasto al vertice della Corte con quattro diversi presidenti. L’uomo più potente della giustizia americana ha un’agenda fitta e l’incontro non è giustificato da ragioni istituzionali: segno che i buoni legami di Cartabia con Washington sono ancora solidi, dopo i suoi anni da visiting professor nelle facoltà di legge americane e in particolare alla law school della New York University, sott l’ala del suo mentore e giurista di fama mondiale, Joseph Halevi Weiler.

Proprio con lui Cartabia chiude il soggiorno americano. L’occasione è strategicamente importante: la ministra converserà con Weiler in una fireside chat, davanti alla platea della New York University. La formula tipicamente americana è quella di una conversazione dai toni informali per ricavare dettagli sulla storia personale e opinioni inedite dell’ospite.

Weiler, amante dell’Italia e ospite fisso della kermesse di Rimini di Comunione e Liberazione, è colui che ha consacrato Cartabia come giurista transnazionale. Non solo: è amico personale dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, anche lui passato da New York in viaggio istituzionale nel 2011, durante il quale si è seduto proprio nel salotto universitario di Weiler per una conversazione “al caminetto”.

A pochi mesi di distanza – e dopo un passaggio con accoglienza affettuosa a Rimini – è stato proprio Napolitano a nominare Cartabia terza giudice donna della Corte costituzionale.

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