Che fine hanno fatto i tentativi di mediazione di Israele in Ucraina? La domanda è lecita dopo che il primo ministro dello stato ebraico, Naftali Bennett, si era recato in pompa magna a Mosca lo scorso 5 marzo per incontrare il presidente russo Vladimir Putin, proponendosi come interlocutore delle parti in guerra.

Il premier, un religioso, aveva giustificato la violazione del sabato ebraico col fatto che il viaggio avrebbe permesso di “salvare vite umane”, ma da allora di vite ne ha salvate ben poche.

A porte chiuse, le fonti più vicine a Bennett ammettano la paralisi degli sforzi diplomatici sul fronte ucraino e ne danno una semplice spiegazione. Cioè che nello Stato ebraico è in corso una crisi sul piano della sicurezza che assorbe tutte le energie del premier, al momento impegnato ad evitare un’escalation con i palestinesi e a riportare la calma sul fronte domestico.

In meno di un mese, Israele è stata colpita da 4 attentati che hanno fatto 14 vittime all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti. Circa 16 palestinesi hanno perso la vita in operazioni delle forze di sicurezza israeliane nei territori occupati.  Poi è salita la tensione anche a Gerusalemme.

L’unico risultato

Dalla fine del mese scorso il premier, che il 28 marzo si è anche ammalato di Covid, ha interrotto i tentativi di mediazione fra Russia e Ucraina. Il flusso continuo di telefonate ai rispettivi leader, che aveva fatto seguito al viaggio a Mosca, è venuto meno.

Ad aggiungere un ulteriore motivo di distrazione c’è stata la defezione di una parlamentare all’opposizione di Benjamin Netanyahu, che ha privato il governo Bennett di una maggioranza alla Knesset facendo balenare lo spettro di nuove elezioni. «Il primo ministro dice in conversazioni private che ha abbastanza problemi per occuparsi anche di Ucraina», spiega Nadav Eyal, commentatore israeliano di punta e autore di “Revolt, La ribellione nel mondo contro la globalizzazione” (La Nave di Teseo).

Conta anche quanto dice via Whatsapp Fyodor Lukyanov, analista russo vicino a Putin; cioè che «al momento non c’è soluzione diplomatica, i russi insistono su concessioni territoriali e gli ucraini dicono di no. Punto. Qualcuno dovrà sicuramente mediare e turchi e israeliani sono in prima fila, ma non prima che entrambe le parti giungano alla conclusione che l’opzione militare non può portare più vantaggi».

Dall’ufficio del premier israeliano rivendicano comunque risultati ottenuti come intermediari fra Kiev e Mosca, in particolare l’apertura dell’ospedale da campo “Kochav Meir” a Mostyska, 50 chilometri a ovest di Leopoli, dove sarebbero già stati curati fino a 3,000 pazienti.

Secondo fonti governative israeliane la struttura avrebbe ricevuto il via libera anche dei russi, in seguito a rassicurazioni sulle finalità esclusivamente sanitarie. Certo è che l’inaugurazione di un ospedale è una consolazione quasi beffarda. Il Ministro della Salute Nitzan Horowitz si è recato in visita personalmente condannando «massacri e crimini di guerra russi».

Scontri sulla spianata

Come se non bastasse la peggiore ondata di attentati dal 2015-2016, a Pasqua sulla scrivania di Bennett è arrivata anche l’escalation annuale con i palestinesi nel quadrilatero più sacro per ebrei e musulmani a Gerusalemme: la Spianata delle Moschee, nota agli ebrei come “Monte del Tempio”.

Il sito è stato sede del Tempio ebraico di Re Salomone nonché del secondo tempio, distrutto dai romani nel 70 D.C. Oggi però ospita sia il Duomo della Roccia, con la sua suggestiva cupola dorata, che la Moschea di Al Aqsa, il terzo luogo più sacro in assoluto per la religione islamica. Da qui Maometto sarebbe asceso al cielo con il suo cavallo alato e, secondo la tradizione, Abramo si sarebbe dimostrato pronto a sacrificare il figlio Isacco per volere divino prima di essere fermato dall’intervento di un angelo.

Diversi fattori accendono le tensioni nel periodo di Pasqua. che quest’anno coincide col mese del Ramadan: il sito, che di regola è precluso ai non musulmani a parte in rare finestre settimanali, viene aperto a brevi visite di fedeli israeliani.

Il pellegrinaggio viene invece negato a tanti palestinesi della Cisgiordania a cui le forze israeliane non rilasciano permessi per entrare a Gerusalemme, citando motivi di sicurezza.

L’anno scorso gli scontri sulla Spianata avevano fatto da anello di congiunzione fra le tensioni nel quartiere gerosolimitano di Sheikh Jarrah e la guerra di Gaza, che causò oltre 250 morti fra i palestinesi e 13 fra gli israeliani. Quest’anno ci sono stati un centinaio di feriti lievi fra i palestinesi in seguito a sassaiole e scontri con la polizia, ma un razzo lanciato lunedì da Gaza verso Israele non sembra aver scatenato una nuova guerra.

Fuori dalla neutralità

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Al di là della crisi di sicurezza, ci sono altre ragioni che spiegano l’apparente, momentaneo tramonto della mediazione israeliana. Dopo aver mantenuto una posizione ambigua nelle prime settimane di guerra, forse per guadagnare la fiducia di Mosca come interlocutore, Israele si è riallineata sulle posizioni occidentali.

«Se nel gabinetto di governo c’era davvero chi sperava che la trovata diplomatica della mediazione ci avrebbe permesso di mantenere la neutralità, ormai si devono essere resi conto che era un’illusione», dice Eran Ezion, ex vice-consigliere per la sicurezza nazionale di Tel Aviv. «Israele deve collocarsi là dove appartiene: senza ambiguità all’interno del campo liberal-democratico».

Con qualche ritardo, dovuto fra l’altro al ruolo importante giocato dalla Russia in Siria, lo Stato ebraico si è mosso proprio in questa direzione. Il ministro degli Esteri Yair Lapid il 5 aprile ha condannato senza giri di parole i fatti di Bucha.

«Le immagini e le testimonianze dall’Ucraina sono orribili. Le forze russe hanno commesso crimini di guerra contro una popolazione civile indifesa. Condanno duramente questi crimini di guerra», ha detto. Due giorni più tardi, in occasione del voto presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla partecipazione della Russia al Consiglio per i diritti umani, Israele ha votato a favore della sospensione.

Ne approfitta la Turchia

La decisione non è passata inosservata a Mosca: il ministero degli Esteri russo ha subito accusato Israele di sfruttare la guerra in Ucraina per distogliere l’attenzione dall’occupazione della Cisgiordania e dall’assedio su Gaza.

«Abbiamo preso nota di un altro insulto anti-russo del ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid il 7 aprile nel contesto del sostegno del suo Paese a una risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni unite che sospende l'appartenenza della Federazione Russa al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni unite», recita piccato il comunicato.

“È degno di nota il fatto che Israele persegua la più lunga occupazione nella storia mondiale del dopoguerra con la tacita connivenza dei principali Paesi occidentali e con il sostegno de facto degli Stati Uniti”. Lunedì, durante una chiamata con il leader palestinese Abu Mazen, Putin avrebbe anche espresso vicinanza a Ramallah rispetto alle vicende della Spianata delle Moschee di Gerusalemme, un altro segnale di freddezza nei confronti di Israele.

Le settimane delle telefonate a ripetizione con Putin e Zelenskyy sembrano lontane. Così come gli appelli del primo ministro ucraino affinché Gerusalemme diventi sede di negoziati fra le parti (dimentica, per inciso, che né il suo Paese né l’Unione Europea a cui vuole aderire la riconoscono come capitale israeliana).

Nel frattempo, malgrado gli scarsissimi margini negoziali, Ankara si è imposta sulla scena della mediazione. Lunedì il Ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha promesso di ospitare nuovamente gli omologhi di Russia e Ucraina Serghei Lavrov e Dmytro Kuleba in Turchia. Sempre che possa servire a qualcosa.

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