L’ultima a subire le conseguenze dei suoi stretti rapporti con Mosca in Germania è stata Manuela Schwesig. La governatrice socialdemocratica del Meclemburgo Pomerania anteriore aveva è stata confermata nel suo incarico solo pochi mesi fa, ma adesso lo scandalo che l’ha investita rischia di costarle caro.

Schwesig è considerata un astro nascente del partito, già ministra e governatrice, cresciuta all’ombra di Gerhard Schröder, ha preso le redini del progetto tanto voluto dall’ex cancelliere, il gasdotto che avrebbe dovuto portare il gas dalla Russia alla Germania senza passare per i paesi dell’est Europa. Nord Stream 2, che sarebbe dovuto emergere dal mare del Nord proprio sulle rive del Meclemburgo, è stato bloccato a pochi giorni dalla messa in opera mentre i rapporti tra Kiev e Mosca stavano precipitando.

A quel punto, il consorzio per la realizzazione è andato in insolvenza. Schwesig ora è sotto accusa da parte dell’opinione pubblica per il suo ruolo in una fondazione creata nel 2020 sulla carta con l’obiettivo di proteggere l’ambiente, nei fatti impegnata a elaborare delle soluzioni che permettessero di aggirare le sanzioni americane e portare a termine la realizzazione del gasdotto.

Alla creazione dell’ente avrebbe partecipato anche Gazprom, trasformandolo di fatto in una rappresentanza degli interessi russi. 

Secondo i documenti pubblicati dalla Welt am Sonntag, le interazioni tra la cancelleria di Schwerin e il consorzio per la costruzione del gasdotto andavano ben oltre i contatti normali tra due organismi del genere. Negli scambi riservati venivano discusse strategie e prese decisioni delicate, per esempio su come il governo regionale dovesse gestire le richieste dei giornalisti.

Non sono mancati negli ultimi anni anche contatti tra Schwesig e Schröder, diventato nel frattempo lobbista di peso nelle aziende legate al Cremlino come Gazprom e Rosneft. 

Ora la Spd si è stretta intorno a lei per proteggerla dagli attacchi dell’opposizione della Cdu e da quelli degli alleati di governo verdi, che chiedono un approfondimento dei fatti.

La continua esposizione verso Mosca di Schwesig, che ha impiegato quattro giorni per twittare solidarietà nei confronti di Kiev dopo lo scoppio della guerra e in passato si era impegnata per una celere attivazione del gasdotto, anche a costo di ignorare casi come l’avvelenamento di Aleksej Navalny e il conflitto d’interesse di Schröder, diventa l’ennesimo problema per il cancelliere Olaf Scholz. 

La Spd

I Putinversteher, gli interpreti del presidente russo, sono tanti nelle file della Spd e continuano ad ammettere i loro errori solo poco alla volta e con una certa lentezza. Oppure con una serie di distinguo, come è accaduto per l’ex ministro e segretario Sigmar Gabriel, che ha giustificato la politica di trattativa diplomatica e commerciale portata avanti per anni dall’ex ministro degli Esteri e attuale presidente della Repubblica.

Frank-Walter Steinmeier la settimana scorsa ha dovuto assistere alla disdetta del suo viaggio a Kiev in quanto persona non grata, pur avendo confessato nelle ultime settimane di essersi sbagliato in Putin. Gabriel in un intervento ha spiegato che Berlino è al fianco di Kiev, ma che la Germania non è disposta ad assecondare ogni richiesta di Kiev.

Merkel e la Cdu

Una presa di posizione che ha fornito nuovo carburante al dibattito sull’opportunità di chiudere i rapporti con Mosca e inviare aiuti militari incondizionati a Kiev. Ma a intrattenere ottimi rapporti con Mosca non è stata solo la Spd: anche l’ex cancelliera Angela Merkel ha per anni condotto le trattative con il Cremlino su un doppio binario. Dove c’era indignazione per i diritti umani, l’invasione della Crimea nel 2014 e l’avvelenamento di Navalny, c’era anche la disponibilità a continuare a far fiorire i rapporti commerciali tra i due paesi. Una strategia che si può leggere come la sua declinazione personale della massima Wandel durch Handel, coniata negli anni Settanta dall’allora cancelliere socialdemocratico Willy Brandt, che sperava di ricostruire i rapporti con l’est Europa danneggiati dalla Seconda guerra mondiale anche attraverso i rapporti commerciali. 

Dopo l’invasione è stato soprattutto il partito di Merkel, la Cdu, a criticare maggiormente l’intesa di socialdemocratici e russi, ma ultimamente tanti conservatori vorrebbero anche qualche parola in più di chiarimento dall’ex cancelliera su come ha gestito i rapporti con la Russia. Ma Merkel non si espone: è intervenuta nel dibattito solo per rivendicare la sua decisione di non sostenere l’adesione dell’Ucraina alla Nato nel 2008.

Gli estremisti di AfD

Non mancano nella lista dei rapporti stretti tra il regime di Putin e Berlino gli estremisti di AfD. Negli ultimi anni hanno viaggiato spesso in Russia, sono stati accolti con stima a Mosca e hanno coltivato gli interessi russi in Germania. Con lo scoppio della guerra il partito ha cercato di mantenere un profilo basso, ma continua a mantenere la sua opposizione all’imposizione di sanzioni sulla Russia e all’invio di armi in Ucraina, oltre a impegnarsi nella difesa dei russofoni in Germania.

L’ambasciatore ucraino

A rappresentare a gran voce gli interessi ucraini pensa invece l’ambasciatore Andrij Melnyk, che non perde occasione, nei media o dal suo profilo Twitter, di rimproverare pubblicamente alla politica tedesca le esitazioni sulle forniture e gli errori del passato. Per farlo, non usa mezzi termini. Di fronte alla scelta di Schwesig di illuminare il castello di Schwerin in giallo e blu, ha twittato «L’ipocrisia mi fa vomitare» e ha definito Michael Roth, il presidente della commissione Esteri del Bundestag, uno «stronzo».

La politica della Spd e il commento di Gabriel sono «maligni» e la Zeitenwende, il cambiamento geopolitico e militare epocale annunciato da Scholz, è «fake». L’ingombrante presenza dell’ambasciatore nella politica tedesca ha portato addirittura a un chiarimento con i segretari della Spd dopo lo scontro con Gabriel. Ma che sia bastato perché la Germania inizi a spedire armi pesanti in Ucraina, come continua a chiedere Melnyk, è tutt’altro che probabile, senza la luce verde di Washington.

© Riproduzione riservata